L’Europa insegue Meloni che insegue Salvini e Orban: l’Italia rischia il testa coda

Brutta storia la lettera di precisazioni scritta dalla presidente Meloni a von der Leyen. Smentire che in Italia nessuno insidia la libertà di opinione e poi, da Pechino, attaccare i giornaliperché avversari del governo, rischia di provocare uno di quei loop da cui non si esce più. Il problema di Meloni è di trovare i toni istituzionali tipici del premier e lasciare da parte quelli del leader politico. La maggioranza di centro-sinistra in Europa deve decidere se regalare l’Italia a Orbán e Le Pen oppure se intavolare un negoziato senza pregiudizi per tenerla agganciata al motore dell’integrazione

Jean-François Paul de Gondi
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Nelle stanze del potere brussellese esistono due questioni: una è la questione Italia; un’altra è la questione Meloni. Se Von der Leyen pensa di affrontare separatamente le due cose, allora rischia di portare l’Unione in un vicolo cieco e il rischio di paralizzare la Commissione sarebbe altissimo, con conseguenze politiche al momento inimmaginabili. Perché il peso e il ruolo dell’Italia dipende solo in minima parte dal governo e dalla maggioranza del momento.È altresì comprensibile la cautela, se non una vera e propria difficoltà a unificare le due questioni per farne una sola: l’Italia deve o no conservare il suo peso a prescindere da Meloni e Meloni che cosa può, e deve fare, perché nessuno metta in discussione ruolo e autorevolezza del nostro Paese.

La prima cosa che viene in mente è una cosa che la presidente Meloni non avrebbe dovuto fare. Come scrivere una lettera risentita alla presidente Von der Leyen non tanto per denunciare la faziosità del Rapporto sullo Stato di diritto, che sarebbe stato uno scontro cruento, quanto per denigrare e attaccare i giornali italiani colpevoli di avere strumentalizzato il contenuto del rapporto. Ci può anche stare che qualche giornale abbia usato quel rapporto prendendone singole parti, manipolarne il senso, una volta decontestualizzate, e presentare l’insieme del documento come una censura dell’Unione al governo italiano. In questo caso, però, la domanda è lecita: che cosa c’entra von der Leyen con il lavoro dei giornali? Perché chiamarla in ballo per esigere da lei un chiarimento che fra l’altro non è tenuta a dare, tanto chiaro è il Rapporto in cui le valutazioni della Commissione sullo Stato di diritto sono ben distinte dalle valutazioni date da organi terzi e associazioni?

Meloni vorrebbe da von der Leyen uno scudo politico all’operato del governo italiano in materia di diritti, e lo vorrebbe da una presidente che il suo partito non ha votato ma alla quale riconosce un ruolo istituzionale e lo vorrebbe trasformare in ruolo politico per ricevere una patente di legittimità democratica. Una posizione che appare debole. Meloni è un leader democratico, è stata eletta democraticamente e in tutti gli atti del suo governo rispetta le procedure previste dalla Costituzione. Che cosa può averla spinta a sollecitare un intervento della Commissione europea che faccia chiarezza sui contenuti del rapporto?

Nelle iniziative della Meloni si nota, da qualche tempo, una crescente sovrapposizione fra la dimensione istituzionale e quella politica. Con l’ovvia, inevitabile confusione fra i due piani e un conseguente indebolimento di entrambi. Per dire: quando Meloni ha deciso per il suo gruppo parlamentare europeo di non votare la ratifica della nomina di von der Leyen ha deciso perché ciò era nell’interesse dell’Italia ovvero perché il gruppo dei Conservatori che lei presiede era in maggioranza contrario?

La maggioranza di destra a Roma ha un problema rilevante che si chiama Matteo Salvini. La sua deriva estremistica associata a una forma di nichilismo impolitico lo ha collocato in una posizione centrale in quel gruppo dei Patrioti in cui si sono radunati i sostenitori di Vladimir Putin. Si tratta del terzo gruppo al Parlamento europeo, dopo i Popolari e la Sinistra. Hanno sottratto deputati ai Conservatori, diventati così il quarto gruppo. I Patrioti, nome usurpato e vilipeso se a portarlo sono personaggi come il generale Vannacci, sono diventati una spina nel fianco di Meloni. È scattato in lei un riflesso condizionato, e speculare al riflesso che un tempo spingeva il Pci a proclamare “mai nemici a sinistra”. Per Meloni si tratta ora di non avere “nemici a destra”. Da qui il suo inseguimento a Salvini e a Orbán, reso oltremodo problematico per il rischio di lasciare a Forza Italia il monopolio della rappresentanza centrista e moderata.

Se insegui Salvini in Italia, non potendo contenere la destra populista in Europa, il rischio di portare il Paese in testa-coda diventa altissimo. Altrettanto potrà crescere per Meloni il rischio che l’Unione finisca per costruire l’interlocuzione con l’Italia passando dal ministro degli Esteri, essendo Tajani l’unico esponente politico il cui partito è centrale negli equilibri europei. Si tratta di qualcosa di più che semplici congetture e suggestioni. I fatti, si sa, hanno la testa dura. Prima Meloni riuscirà, dimenticando la sua leadership politica nell’Ecr, a ricollocare l’Italia nel solco dei Paesi fondatori e dotati di quello speciale potere decisionale assegnatogli dalla storia, prima potrà recuperare la coesione della maggioranza di governo.

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