Era venuto “dall’altro capo del mondo”. Papa Francesco e l’Occidente si sono parlati senza mai capirsi

È durato 12 anni il pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Presto per tirare bilanci, ma sono molte le ferite da lui sanate nella Chiesa, ancora di più sono quelle aperte con il mondo. Argentino, respirò fin dal 1968 lo spirito della Teologia della Liberazione di padre Leonardo Boff e di Gustavo Gutierrez, i due promotori di una visione che attribuiva al cristianesimo il dovere di affermare i principi di emancipazione sociale e politica. Fu sensibile al regime di Juan Peron e poi di Isabelita Peron. Commozione universale per la sua scomparsa: commosso Salvini, in profondo disaccordo con Francesco sull’immigrazione; commossa Schlein, in contrasto con lui su aborto ed eutanasia. Il dittatore Putin, che bombarda l’Ucraina h24, lo ricorda come uomo di pace e sempre aperto al dialogo, ne elogia lo spirito di pace. Il rischio per Francesco è di essere sepolto sotto la coltre di retorica e di ipocrisia di queste ore

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Nelle ore del lutto e della pietà cristiana non c’è spazio per giudizi minimamente articolati. L’onda emotiva suscitata dalla morte di Papa Francesco travolge tutto e tutti sotto una valanga di retorica, con sentimenti più o meno omogenei fatti di dolore e costernazione, sconcerto e preghiera. È giusto così, in fondo quello che è morto è il vicario di Cristo in terra. Verrà il tempo per un bilancio più meditato e articolato sui 12 anni di pontificato inseriti all’interno di una stagione di crisi profonda nella Chiesa. Scossa dagli scandali dei preti pedofili, emersi già nel declino del pontificato di Benedetto XVI, la Chiesa di Bergoglio è “un ospedale da campo”, come con felice immagine l’aveva definita lui stesso. Deve curare le troppe ferite del mondo, senza trascurare le piaghe che la ulceravano dalle gerarchie fino all’ultimo curato di campagna.

Bergoglio è stato il papa delle molteplici rotture. Il primo “non europeo” a salire sul soglio di Pietro. Il primo gesuita a portare l’anello del potere che Ignazio di Loyola aveva espressamente vietato ai gesuiti. Una personalità “sibillina”, come l’aveva definito il mio confessore e suo profondo conoscitore. “Jorgito, domani mattina presto mi daresti un passaggio fino a Rosario?”. Jorgito era don Jorge Yigueriminian, arrivato in Italia all’inizio del 2000, dopo un breve soggiorno nella sua Armenia, terra dei suoi genitori. Dopo aver reso molti servigi all’arcivescovo di Buenos Aires, era stato da lui allontanato dalla scuola che aveva fondato e ospitava circa 3000 alunni, fra elementari, medie e licei. Era il capitolo più doloroso nella vita di don Jorge, italianizzato in Giorgio una volta a Roma.

La formazione culturale e spirituale di Bergoglio ha radici estese e molto complesse. Da giovane sacerdote, ordinato nel 1969, a 33 anni, si trovò a vivere gli anni convulsi di Juan Peron. E fu peronista. Da buon gesuita conosceva a fondo l’importanza di tenere aperto il canale del dialogo con il potere, qualsiasi potere. La sua ordinazione coincise con l’anno in cui veniva codificata la cosiddetta Teologia della Liberazione, movimento teologico fondato in Brasile da padre Leonardo Boff, Gustavo Gutiérrez e Hélder Pessoa Câmara. Boff aveva conseguito un dottorato in Filosofia e Teologia all’Università di Monaco (uno dei due relatori era Joseph Ratzinger). Il fondamento della Teologia della Liberazione rivendicava alla Chiesa cattolica il dovere di affermare i principi di emancipazione sociale e politica contro ogni regime. Regimi che a Boff, Gutiérrez e Câmara sembravano particolarmente aggressivi nell’Occidente capitalistico. Quel movimento trovò accoglienza nella Cuba di Fidel Castro.

Questo è il retroterra culturale, l’humus in cui affondano le radici della formazione culturale e spirituale di Bergoglio. Con l’arrivo al soglio petrino, quelle radici si sono necessariamente arricchite di ulteriori apporti, meno conflittuali nella gestione quotidiana della Chiesa, ma sempre ideologicamente ben orientati. La predicazione bergogliana ha allargato gli orizzonti della pastorale. Con l’enciclica “Laudato si” il tema dell’ambiente fa irruzione nella Chiesa cattolica ed entra con forza nell’orizzonte dei suoi interessi quotidiani. Il tema dell’inclusione, elemento caratterizzante dei codici culturali woke, diventa il leit motiv dominante, soprattutto per quanto riguarda l’immigrazione. Su questo terreno si sa quanto scarso sia sempre stata la sintonia di Bergoglio con le destre europee, e non solo. Qui è sufficiente ricordare la rispostaccia di Salvini (“li faccia entrare in Vaticano, gli immigrati”), uno dei tanti leader che ne piangono la morte con mestizia.

Una personalità complessa e poliedrica. Le sue risposte fulminanti ( “chi sono io per giudicare?”, rispose a un giornalista che gli chiedeva della pedofilia) ne hanno spesso mostrato il profilo spigoloso, autoritario in privato. Come non ricordare il mezzo battibecco con George Gänswein, il segretario di due papi, allorché rivelò in un libro le perplessità di Benedetto XVI, papa dimissionario, sul pontificato bergogliano? La querelle si sa come si risolse: Gänswein fu allontanato da San Pietro, qualche tempo dopo la morte di Benedetto XVI, e rimase senza incarichi prima della sua nomina a nunzio apostolico in Lituania. Certe impuntature caratteriali non hanno però scalfito l’intenso rapporto mediatico con le folle. Bergoglio ha portato la Chiesa su un terreno nuovo, per certi versi inedito. L’ha resa più “orizzontale” a danno della “verticalità” senza la quale la fede si trasforma in sociologia, ambientalismo, filosofia. Tutte materie importanti, ma senza la luce della fede in Dio rendono il cattolicesimo non troppo diverso da una cattedra di insegnamento. È presto per trarre conclusioni e tracciare un bilancio e sarebbe oltremodo ingeneroso. Quelle qui citate sono solo alcune premesse, e sicuramente superficiali e meno stimolanti per una riflessione sui 12 anni di pontificato. È bene però tenerle presente perché in sede di giudizio storico avranno il loro peso per definire l’eredità del papa venuto “dall’altro capo del mondo”.

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