Elly Schlein nella tenaglia di Conte e Grillo, ma tutti ballano al ritmo di Renzi

Roberto Guerriero
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Come nella Guerra dei Roses, l’ex premier e il comico genovese sono oltre il lancio dei piatti. Dietro la disputa sui valori e il vincolo dei due mandati parlamentari ci sono questioni molto corpose e miserabili, come i 300 mila euro annuì che il M5S versa al fondatore. Il Pd sta a guardare, in silenzio sostiene Conte nella speranza, alquanto fragile, di perimetrare il campo largo. Ma è Renzi, con il suo spirito corsaro e il gusto delle manovre, a sparigliare tattiche e strategie: apre al campo largo e attacca Conte, Conte gli rende la pariglia. Schlein si trova un po’ come l’asino in mezzo ai suoni.

Separati in casa è impossibile e allora la strada del divorzio, dolorosa quanto si vuole, non ha alternative. Il suggeritore di questo esito è Danilo Toninelli, ex creativo ministro messo alle Infrastrutture per impedire che venisse realizzato anche un solo viottolo di campagna. Senza farsi il sangue amaro, Conte – ragiona Toninelli – provi a creare un suo partito usando “l’intelligenza del cuore”, proprio così: l’intelligenza del cuore, e lasci simbolo e principi, come il limite dei due mandati, a Beppe Grillo. Conte potrebbe, una volta accasato nel nuovo partito, occuparsi di tattiche e strategie e allearsi stabilmente con il centrosinistra. A maggior conforto di questo progetto, Toninelli assicura che il M5S potrebbe prendersi un anno di sabbatico e non presentarsi alle prossime legislative, evitando una lotta fratricida con Conte e salvaguardando l’anima e i va,ori originari del Movimento.

Detta così, ha tutta l’aria di una favola edificante, di quelle che si sussurrano ai bambini per convincerli a chiudere gli occhi. Toninelli merita almeno la beatificazione per la sua testimonianza carica d’amore e d’affetto verso chi c’è e verso chi lascia il movimento. A Conte non chiede altro se non di traslocare altrove e lasciare l’argenteria al suo posto. I valori assomigliano tanto ai 300 mila euro annui pagati al fondatore per compiti mai ben precisati, alla democrazia diretta e al l8mite dei due mandati, facile da rispettare se il M5S non si presenta alle prossime elezioni.

Chissà se Toninelli avrà chiesto anche a Virginia Raggi che cosa ne pensa di non presentare liste alle legislative? Da evitare in ogni caso, conclude serafico, la convivenza fra Grillo, tutore e garante dei principi e dei valori, e Conte felicemente infilato nei giochi tattici e prossimo alle nozze con il Pd: convivere con tali divergenze di vedute porterebbe all’estinzione del movimento.

Il campo “contiano” è una realtà solida e consolidata, insensibile alle esortazioni evangeliche di Toninelli e molto attento a registrare gli umori dei gruppi parlamentari pronti ad affrontare la battaglia per abolire il limite dei due mandati. E a combattere fino all’ultima goccia di sangue per darsi ciascuno una prospettiva parlamentare un po’ meno precaria. Da buon avvocato, Conte conosce i clienti e i clientes e sa che certi appetiti si manifestano spontaneamente senza bisogno di stimolarli. In che altro modo leggere l’atto d’accusa della senatrice Alessandra Maiorino che rimprovera a Grillo di avere “ostacolato la missione della sua stessa creatura”?

È fin troppo scontato che Giuseppe Conte intende fare esattamente il contrario di quanto auspica l’anima pia del buon Toninelli. Si prenderà il movimento con annessi e connessi, e quanto allo statuto si rimetterà alle decisioni dell’assemblea costituente alla quale garantirà la salvaguardia dei valori fondanti del movimento salvo gli aggiustamenti resi necessari dalle mutate condizioni della battaglia politica. La transizione verso il partito strutturato sarà soft sul piano dei principi, più accelerata sul piano dell’organizzazione e distribuzione del potere interno.

Qualcosa dovrà dare a quella parte delle truppe ancora incerte. Quello che di immediato viene in mente è lo scalpo di Matteo Renzi. Come dice la sibilla Maiorino “Renzi è un problema del Pd. Per noi è una questione insormontabile ……. Mi sembra il minimo che Elly Schlein ci garantisca che Renzi in ogni sua forma è fuori da qualunque tipo di discorso”. Con il che si intrecciano storie, questioni e aspettative, insomma un rompicapo per venire a capo del quale Elly Schlein dovrà attrezzarsi del bastone dei rabdomanti.

Conte non vuole Renzi, e da questa posizione non può schiodare almeno fino all’Assemblea costituente e forse un po’ oltre. Non può accettarlo per la ragione che nell’iconografia grillina e non solo il senatore di Rignano incarna il simbolo di ogni deriva morale, è l’immagine della politica corrotta e corrompente e dunque inavvicinabile per chi coltiva i valori della trasparenza (i 300 mila euro a Grillo) e della legalità (Chiara Appendino, condannata e ben salda nel suo scranno).

Renzi, da funambolo e gran corsaro della politica, non la mette sul piano personale. Una mattina si è svegliato, ha visto evaporare ogni sogno di gloria per posizioni terzopoliste e si è tuffato, lepido e ilare, nell’avventura del campo largo. D’accordo con Conte? Neanche in sogno. Come può Conte stare nel centrosinistra se non sa scegliere fra Trump e Kamala Harris? Bum. Come può Conte stare nel centrosinistra se è contrario a sostenere la resistenza Ucraina? Bum bum.

La povera e volenterosa Schlein si dà da fare, esorta, ammonisce amorevole, incita, pungola, sollecita, sprona a superare divergenze e a valorizzare le cose che uniscono come la battaglia sulla sanità o sul salario minimo. È tanto? È poco? È quel che è possibile. “Codesto solo oggi possiamo dirti/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Aspettiamo di sapere che cosa è e che cosa vuole il campo largo

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