Le nostre istituzioni politiche sono sempre ricordate come fondate sulla divisione dei
poteri. Sebbene si presuma che, nella materialità di una carta costituzionale, queste
prerogative siano ben definite, nella realtà le medesime possono poi risultare o divenire
molto sfumate a causa di una loro infedele realizzazione o successiva non diligente cura
nella tutela dei caratteri fondamentali. Merita poi ricordare che le divisioni dei poteri sono uno dei pilastri della nostra organizzazione politica e sociale. Infatti, qualsivoglia organizzazione esprime, al proprio interno, ruoli distinti con funzioni altrettanto distinte (fatto salvo la condizione assembleare che fa riferimento allo stato tribale, quindi fuori dalle nostre istituzioni). Ed è proprio attraverso la divisione degli organi che un’istituzione dà forza, razionalità ed efficienza nel perseguimento dei propri fini.
A tale proposito c’è il caso che ci affligge da decenni: quello della magistratura giudicante e della magistratura inquirente, due funzioni della magistratura che, non tenute distinte, fa della medesima una struttura a dir poco malfunzionante. Le interferenze della magistratura nella politica sono ben note. Ma poi ci sono anche i magistrati che vanno e vengono nel parlamento e nel governo testimoniando una diffusa assenza della consapevolezza del proprio ruolo: magistrato-parlamentare e magistrato-membro-del-governo rappresentano plasticamente la confusione di ruoli, fino a farsene vanto come fa il presidente della Regione Puglia.
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Ma se la commistione tra magistratura e politica fa parte da tempo del discorso politico,
non ne fa parte quella tra due organi costituzionali: il parlamento e il governo, il
legislativo e l’esecutivo. E qui, prima di procedere, riprendo quanto scritto nel mio
intervento precedente qui pubblicato: “La politica che germoglia nella società genera
aspiranti interpreti dei desideri dei cittadini. Questi aspiranti si propongono poi come
rappresentanti dei cittadini e, raggiungendo poi la necessaria autorevolezza, formulano,
aggiornano e adeguano, in sintonia con i mutamenti che con il tempo incorrono nella
società, le regole di civile convivenza.
È noto che coloro che si dedicano al ‘lavoro’ politico aspirano ad avere un ruolo
ufficiale nel tempio del potere legislativo: il Parlamento. Non è detto però che quanti
hanno frequentato onorevoli e senatori abbiano avuto sentore di un loro impegno
totalmente dedicato alla scrittura e discussione di disegni di legge con loro
pubblicazione finale in Gazzetta Ufficiale.
La vita politica è molto ricca, varia e complessa e pertanto può dispiegarsi in molteplici altre funzioni che possono aver luogo in Parlamento. Infatti sono molti altri i momenti di vita e attività parlamentare che contraddistinguono il lavoro di onorevoli e senatori ai quali è, però, precluso dare operatività agli esiti della loro attività legislativa. Questa funzione è prerogativa del potere esecutivo: il Governo“.
Ebbene come tutti sappiamo, i lawmaker aspirano e si ritengono destinati ad occupare
il Governo mantenendo sia la funzione di produttore di leggi sia quella di policy maker,
determina orientamenti e strategie in merito alle questioni più rilevanti per la società e la politica
cioè la funzione che questo stato di cose è stato così bene metabolizzato tanto che non si percepisce questa confusione di ruoli simile a quella che esiste tra magistratura e parlamento.
Sarà pure normale che un lawmaker aspiri e diventi un policy maker, ma è necessario chiarire che esserlo contemporaneamente (divenuta una consuetudine) rappresenta un vulnus per la distinzione-separazione dei due organi costituzionali.
Convinto della necessità di rendere più chiaro possibile il ruolo dei membri del Parlamento e del Governo, suggerisco quanto seguente: il parlamentare che diventa membro del Governo, perde il seggio per tutta la legislatura; al suo posto subentra il primo dei non eletti del suo raggruppamento elettorale. Se vuole tornare a fare il lawmaker dovrà correre alle elezioni
politiche per la legislatura successiva.
Il capo del Governo deve avere la responsabilità di scegliere (ministri e sottosegretari) i membri per formare la ‘sua’ un’amministrazione ‘governante’, cosa diversa da una compagine politica. Questo perché la responsabilità del governo ricade sulle spalle del Capo del Governo, non su quelle di singoli membri.
Come è noto, il Governo deve rendere conto del proprio operato al Parlamento.
E’ per l’espletamento formale di questo rendiconto che, di fronte agli emicicli delle camere, si
trova il banco del Governo. Quello non è il posto del Governo nel Parlamento, ma lo spazio
che il Parlamento riserva al Governo quando questo viene a render conto del proprio
operato oltre che a chiedere la fiducia per cominciare ad operare.
Quello che invece vediamo quando il Governo arriva in Parlamento è un gran
mescolamento di parlamentari che vanno e vengono e comportamenti che molto spesso non consentono di distinguere chi è e chi non è nella compagine di Governo anche perché oggi la sua ipertrofica composizione tra ministri e sottosegretari riduce in modo rilevante il numero dei parlamentari puri, i peones. Puri sì, ma temporaneamente in attesa di promozioni nella compagine di Governo attraverso rimpasti o crisi da loro sempre benvenute.
Ad una più chiara separazione tra i due organi, Parlamento e Governo, va associata la
sostituzione della figura del Presidente del Consiglio con quella del Capo del Governo
(come auspicato in ogni proposta di modifica di questo organo costituzionale). In questa
caso muta il confronto tra i due organi: non si ha più il dibattito tra Governo e
Parlamento, ma tra Capo del Governo e Parlamento. Ciò comporta la condensazione della
responsabilità politica del Governo nella persona del Capo di Governo rispetto al quale i
membri del medesimo devono quindi fare ‘esclusivo’ riferimento.
Merita sottolineare che queste riforme mirate a rafforzare il ruolo del Capo di governo implicano quello che nel gergo politico si chiama Governo tecnico, da sempre aborrito dal mondo politico. A ben guardare i cosiddetti governi tecnici (Monti e Draghi) erano presieduti da
personalità politiche e definiti tali solo perché i componenti del Governo erano in parte
reperiti al di fuori del Parlamento e ciò non si è rivelato negativo per il Paese.
- Professore ordinario di Economia
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