Destra in tilt sulla cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici

Da Salvini a Malan, da Le Pen a sua nipote Marion, la destra italo-francese indossa la toga in difesa della religione cristiana. Dimenticano che la laicità è un valore pre-politico in cui dovrebbero riconoscersi tutte le forze. La protesta dei vescovi francesi è comprensibile, devono difendere la ragione sociale della Chiesa e di conseguenza stigmatizzare costumi e comportamenti reputati offensivi della morale cristiana. Giuste e comprensibili sarebbero state le proteste per aver costretto gli atleti a prendere ore di pioggia e a rischiare la loro salute alla vigilia delle gare

Jean-François Paul de Gondi
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Non nascondo un certo imbarazzo per dovere, nel mio status di prelato e cardinale di Retz, spendere qualche parola in difesa della laicità della politica. Avendo sperimentato, al tempo della notte di San Bartolomeo, con quella carneficina dei poveri ugonotti passati a fil di spada in numero variabile da 5 mila a 30 mila, a quali mortali pericoli si era esposta la Chiesa di Roma offrendo una copertura ideologica alla lotta di potere intrapresa da quella vipera di Caterina de’ Medici per portare sul trono di Francia sua figlia Margherita di Valois, offrendola in sposa a Enrico IV.

Ho ricordato sommariamente quella sanguinosa vicenda per sottolineare il corto circuito a cui va incontro la politica quando ritiene di usare la fede come uno scudo, o di farsi a sua volta scudo di una fede religiosa. Le ragioni dell’una e dell’altra si sono sovrapposte, intrecciate e confuse nel corso dei secoli generando guerre e stragi, senza mai scrivere una parola definitiva sulle rispettive sfere di influenza. La separazione fra Stato e Chiesa è un’acquisizione, misurata sui tempi della storia umana, abbastanza recente.

Più quella separazione è stata netta e maggiori sono stati i benefici, per la Chiesa cattolica e per la politica. Da qui la mia sorpresa, dopo aver assistito alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi, e allo spettacolo grandioso che ha ammaliato con i suoi colori rutilanti, nel leggere le reazioni scomposte e, diciamolo, volgari e un po’ cialtronesche della destra italo-francese.

Bene ha fatto la Conferenza episcopale dei miei confratelli francesi a protestare per le scene dominate dalle drag queen in cui veniva mimata l’Ultima cena del Signore. Non voglio sottilizzare troppo sul significato simbolico di quella scena. I suoi autori direbbero che essa invece che blasfema voleva essere più semplicemente ”inclusiva”, per significare che tutti, al di là del proprio orientamento sessuale, trovano ascolto e possono riconoscersi nelle parole del nostro Signore. C’è del vero in senso assoluto, anche se la resa in termini spettacolari è sembrata penosa e irricevibile per un cristiano di fede semplice e adamantina.

Ma di questo è giusto che a occuparsene siano stati i miei confratelli vescovi della Conferenza. Più eccentrico mi è sembrato che a pontificare siano stati i vari Salvini, Marion Maréchal, Malan e compagnia cantando. Forse che sono stati supplicati da qualche autorità ecclesiastica a prendere le difese della morale cristiana?

Se proprio critiche andavano fatte agli organizzatori, avrei puntato l’indice contro il supplizio della pioggia inflitto a centinaia di atleti, alcuni dei quali alla vigilia della loro gara. Perché mettere a rischio la loro salute e la loro incolumità su quei bateaux che scivolavano sulla Senna senz’altro scopo se non a favore di telecamere? Show go on, ci hanno insegnato dall’altra sponda dell’Atlantico. D’accordo, ma un conto è cantare sotto la pioggia se sei Gene Kelly e giri un film, altra cosa è cantare inzuppati d’acqua e magari qualche ora dopo scendere sulla pedana della sciabola.

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