L’ineffabile governatore toscano Eugenio Giani è diventato il capofila del no ai Centri per il rimpatrio dei migranti: “Si stanno prendendo in giro gli italiani perché il problema dell’immigrazione è come farli entrare e accoglierli, non come buttarli fuori” – ha detto, confermando così la linea irresponsabile dell’accoglienza senza limiti. Un ragionamento tanto bizzarro quanto fuori dalla realtà: “Cosa c’entra il Cpr come risposta ai flussi emergenziali? Se arrivano questi immigrati con i tormenti, le violenze e le sofferenze che hanno subito la risposta che dai è ‘faccio i Cpr’ cioè luoghi per buttarli fuori? Prima rispondi a come integrarli e accoglierli, dar lor da mangiare e dormire. Poi parli anche di quei casi isolati nei quali poter prevedere la lunghissima procedura di rimpatrio”. Casi isolati? Nessuno lo ha evidentemente informato che la grande maggioranza dei migranti che sbarcano sulle nostre coste non hanno diritto d’asilo. Per cui il “riformista” Giani ha sposato in tutto e per tutto, come il suo omologo emiliano Bonaccini, la linea Schlein. Nelle ultime ore ha rincarato la dose, pur facendo una mezza marcia indietro, attestandosi sul principio della “contrarietà ma non opposizione”. “Io non impedisco” – ha detto -: se arriva il ministero degli Interni e vogliono fare il Cpr in Toscana “io gli dirò che sono assolutamente contrario sul territorio della regione, il Comune che loro sceglieranno vedremo cosa gli dirà, se ne prenderanno tutte le responsabilità. Il governatore toscano si è detto contrario alla ratio dei Cpr, “centri di immissione verso circuiti che li riportino nei loro Paesi semplicemente perché hanno commesso degli illeciti amministrativi. Qualunque persona si rende conto che è una risposta illogica perché il problema non è quello di reintegrarli nei loro paesi, non ci andranno mai, e per mandarceli ci vogliono 18 mesi”. Una precisazione che aggiunge solo confusione a confusione e propaganda a propaganda, perché nei Cpr ci finirà solo chi ha ricevuto un provvedimento di espulsione o ha commesso reati sul territorio italiano.
In realtà, di fronte a un’emergenza delle proporzioni attuali, i Cpr sono l’unica soluzione per non congestionare ancora di più la rete di accoglienza già al collasso ed evitare che i migranti in fuga finiscano ad alimentare la delinquenza nelle periferie delle grandi città e nei piccoli comuni. Il vero problema è quello di far funzionare la macchina dei rimpatri, e a questo fine serve istituire un Cpr in ogni regione. Il decreto Cutro aveva previsto il commissariamento della gestione dei centri governativi per l’accoglienza o il trattenimento degli stranieri, in modo da garantirne il funzionamento, e per l’individuazione, l’acquisizione e l’ampliamento dei Cpr una deroga al codice dei contratti pubblici, consentendo una maggiore speditezza nello svolgimento delle procedure.
Leggi Anche
I Cpr sono gli eredi dei Cpt (Centri di permanenza temporanea) istituiti dalla legge Turco-Napolitano e dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) ed hanno la funzione specifica di trattenere gli stranieri arrivati irregolarmente in Italia e privi dei requisiti per l’ottenimento della protezione internazionale.
I termini massimi di trattenimento erano stati ridotti nel 2020 da 180 a 90 giorni, prorogabili di ulteriori 30 se l’immigrato proveniva da un Paese con cui l’Italia ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri. Ora il governo ha prolungato la permanenza a 18 mesi, come prevede la normativa europea. Attualmente i Cpr sono dieci, alcuni però non funzionanti, e il primo provvedimento adottato dal governo in tema di immigrazione fu lo stanziamento nella legge di bilancio di 42 milioni di euro proprio per ampliare la rete dei Cpr, dove si attua la cosiddetta detenzione amministrativa in attesa dei provvedimenti di espulsione che in larga parte si limitano però a un’ingiunzione senza esito. La storia di questi controversi centri – che ora la sinistra che li ha inventati considera veri e propri lager – è contrassegnata da tensioni, polemiche e contrordini: il governo Prodi infatti, dopo averli istituiti nel ’98, li abolì nel 2006 riesumando lo sponsor-garante. Quando poi tornò al governo il centrodestra furono istituiti i Cie, ma si verificò un cortocircuito istituzionale: anche allora, il ministro Maroni ne voleva istituire uno per regione, ma trovò la fiera opposizione di governatori e sindaci di ogni colore che un giorno scrivevano al governo per invocare più sicurezza e quello successivo si rifiutavano invece di ospitare i Centri per i clandestini nel loro Comune.
Anche la legge Minniti-Orlando, approvata nel febbraio 2017, prevedeva l’apertura entro pochi mesi di un Cpr in ogni regione, ma fu osteggiata dai governatori del nord che minacciarono di tagliare i fondi regionali ai Comuni che avessero accettato di accogliere sul loro territorio i migranti in attesa di rimpatrio, e i venti Centri ipotizzati rimasero sulla carta. Questo per dire che al di là dei buoni (o cattivi) propositi dei ministri dell’Interno per gestire l’immigrazione, spesso è prevalso il potere di veto di Regioni e comuni, tanto che la distribuzione territoriale dei migranti risulta ancora molto sbilanciata.
© Riproduzione riservata