Scalare l’Everest a mani nude? Roba da principianti. Hackerare la NASA? Troppo 2010. Oggi, l’atto più rivoluzionario che si possa compiere è semplicemente essere se stessi. Viviamo in un’epoca in cui l’omologazione è la regola e la perfezione è un obiettivo irraggiungibile, spacciato per normalità dai filtri di Instagram e dai sorrisi impeccabili di TikTok. Eppure, c’è ancora chi ha il coraggio di nuotare controcorrente.
Lucio Corsi e la rivincita degli “strani”
Uno di questi è Lucio Corsi, il cantautore che ha portato a Sanremo non solo la sua musica, ma anche il suo modo di essere: senza filtri, senza maschere, senza paura. Magro come un fumetto d’autore anni ’70, con magliette di cartoni animati e stivali col tacco, ha duettato con Topo Gigio, è arrivato a piedi al festival anziché prendere il taxi e ha usato il microfono come fosse una chitarra, infilandolo sotto l’ascella tra un cambio e l’altro.
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Corsi non ha la risposta pronta e non usa i social. Ed è proprio questo a renderlo speciale: in un mondo di cloni perfettamente impacchettati, che sanno sempre cosa dire e cosa fare, lui è la nota stonata, l’imprevisto che rende tutto più vero. Insomma, interessante.
E non è il solo. Francesca Michielin lo ha detto chiaro nella sua canzone che forse non è rimasta impressa a tutti ma che ha lanciato un messaggio interessante: “La bellezza sta nel talento, ma anche nell’autenticità“. Una verità semplice ma rivoluzionaria, in un’epoca in cui ci insegnano che dobbiamo essere sempre impeccabili, sempre all’altezza, sempre perfetti. Ma chi l’ha detto che dobbiamo essere tutti protagonisti? “In questo mondo di eroi, nessuno vuole essere Robin“, cantava Cesare Cremonini. Ma forse è proprio Robin, con la sua goffaggine e il suo cuore, a rendere Batman un po’ meno robotico.
Pensiamoci: ci innamoriamo dei difetti, ridiamo delle imperfezioni, affrontiamo insieme i drammi dell’altro. Perché? Perché l’amore non si pianifica. E la vita? Ancora meno. Non esiste un manuale di istruzioni su cosa accadrà domani, figuriamoci nel dicembre 2037. Siamo esseri imperfetti, unici. La maggior parte di noi è un po’ scema e pure stronza. Ma non è forse meraviglioso?
Nessuno è perfetto. Nemmeno Sanremo.
Quest’anno, il Festival non è solo paillettes, lustrini, gossip, collane da 70 mila euro e voci impeccabili. È anche un palco dove le fragilità diventano forza. Lo ha dimostrato Bianca Balti, raccontando la sua malattia senza filtri: “Non vengo a Sanremo a fare la malata di cancro, sono qui per celebrare la vita.” Un pugno nello stomaco, ma anche un promemoria potente: siamo molto più delle nostre cicatrici, più delle nostre paure, più delle immagini che scegliamo di postare. Siamo esseri umani, e stiamo vivendo la nostra vita per la prima volta, nella maniera più improvvisata che esista.
Essere imperfetti è il nuovo perfetto
Per anni ci hanno venduto l’idea che la vulnerabilità fosse un difetto da nascondere. Che l’essere forti e duri fosse l’unico modo per sopravvivere. Ma la verità? La fragilità è ciò che ci rende umani. Lo racconta anche Hollywood con The Substance, il film in cui Demi Moore interpreta un’ex icona del fitness che, per non accettare il tempo che passa, ricorre a una sostanza capace di creare una versione più giovane e perfetta di sé (interpretata da Margaret Qualley). Peccato che quella perfezione sia un’illusione, destinata a consumarla fino alla fine. Un po’ come i filtri di Instagram: sembrano innocui, ma a lungo andare ci fanno dimenticare chi siamo davvero.
E allora torniamo a Sanremo, a Lucio Corsi, a Bianca Balti, a Francesca Michielin. Torniamo a chi ha avuto il coraggio di mostrarsi per quello che è, senza il timore di non piacere a tutti. Perché la perfezione è sopravvalutata, ma l’autenticità – quella sì – è davvero rock.
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