Controlli sul Pnrr: Meloni come Draghi, ma insorge il partito della Corte dei Conti

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Accelerare i progetti del Pnrr è un interesse nazionale prioritario, e se c’è da sveltire l’iter è legittimo farlo. Il problema della burocrazia onnipotente è stato risolto col modello Genova e col modello Figliuolo: urge farlo anche per i fondi europei

“Di fatto il controllo sul raggiungimento degli obiettivi spetta da regolamento europeo alla Commissione. La duplicazione dei controlli, con procedure peraltro non allineate temporalmente, rischia di complicare ulteriormente i meccanismi di spesa. Non penso che la scelta del governo sia un atto di autoritarismo… La vicenda Corte dei Conti non mi sembra invece così rilevante”. Basterebbe questa dichiarazione di Carlo Calenda, che sulla gestione del Pnrr non ha mai fatto sconti al governo, per capire la strumentalità delle polemiche in corso, e l’intempestività delle dichiarazioni alla stampa di due portavoce della Commissione europea. Il governo italiano. Del resto, si sta muovendo in perfetta continuità con il precedente esecutivo.

Riassumiamo: il controllo concomitante della Corte dei Conti è stato previsto da una legge del 2009 ed è rimasto inattuato per oltre un decennio, fino alla decisione assunta con la legge numero 76 del 2020 dal governo Conte. Dunque, la previsione del controllo concomitante non nasce per il Pnrr, che all’epoca neppure esisteva. Relativamente al Pnrr, invece, la disciplina specifica sul controllo della Corte dei conti si trova nell’articolo 7 del decreto legge numero 77 approvato durante il governo Draghi, che affida alla Corte dei conti il controllo dei fondi del Pnrr “nella modalità del controllo successivo sulla gestione e non del controllo concomitante”. Nella giungla delle leggi italiane, a qualcuno questo particolare era sfuggito. Ma ai tempi di Draghi nessuno era insorto come ora sta facendo la sinistra, che parla – tanto per cambiare – di svolta autoritaria.

Per quanto riguarda, poi, lo scudo erariale che il governo Meloni intende prorogare con un emendamento al decreto P. A., basta ricordare che i limiti alla responsabilità erariale per le condotte omissive ai soli casi di dolo sono stati introdotti dal governo Conte per favorire la ripresa economica post Covid e prorogati da Draghi al 30 giugno 2023 proprio per favorire l’attuazione del Pnrr.

Dunque, la duplice decisione di prolungare di un anno lo scudo erariale e di prorogare la sospensione del “controllo concomitante” della Corte dei Conti sull’utilizzo dei fondi del Pnrr non avrebbe dovuto provocare scandalo. Invece si è scatenato l’inferno. Eppure dovrebbe essere chiaro che con un sistematico “controllo concomitante” la Corte eserciterebbe di fatto un ruolo di cogestione rispetto al governo. Cosa peraltro avvenuta un mese fa, quando i giudici contabili hanno stilato la lista dei mancati obiettivi del Pnrr, prerogativa che spetta invece alla Commissione europea.

Ma sulla correttezza dell’operato del governo il giudizio più chiaro lo ha dato il più autorevole giurista italiano, Sabino Cassese: “Ha fatto benissimo il governo a limitare il controllo preventivo della Corte dei Conti… le grandi corporazioni statali dovrebbero ripensare al modo in cui agiscono nei confronti dello Stato di cui sono i rappresentanti”. Cassese ha spiegato che in Italia ormai i controlli preventivi e concomitanti sono diventati una forma di cogestione, di esercizio di un potere. Un capo di divisione di un ministero, il presidente di un ente pubblico, ogni volta che deve prendere una decisione, deve chiamare il controllore e chiedere se sia d’accordo o meno. Questo ha due effetti negativi: deresponsabilizza chi deve essere responsabilizzato e non fa degli effettivi controlli perché con i controlli a tappeto e non a campione non si va in profondità.

Accelerare i progetti del Pnrr è un interesse nazionale prioritario, e se c’è da sveltire l’iter è legittimo farlo. Il problema della burocrazia onnipotente è stato risolto col modello Genova e col modello Figliuolo: urge farlo anche per i fondi europei.

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