Che fai, mi spii? La posta in gioco al mercato del ricatto

Festeggiano gli avvocati dopo la scoperta dell’ultima centrale di dossieraggio. È un mercato diventato improvvisamente florido. Dall’impiegato pugliese che ficcanasava nei conti dei vip, all’ufficiale delle Fiamme Gialle fino alla vera e propria centrale, a Milano, che ha industrializzato il mercato dei dossier. Un po’ è da ridere, ma è una condizione drammatica per una democrazia, quella italiana, che accusa qualche patologia di troppo per dirsi in salute. La palla passa al Parlamento, ma una parola decisiva spetta al governo

4 Min di lettura

La presunzione di innocenza vale per tutti, dunque anche per Enrico Pazzali, presidente dell’ente Fiera Milano, Carmine Gallo, uno dei coordinatori del gruppo di spioni che avrebbe esfiltrato (termine tecnico, ma la sostanza è “rubato”) informazioni da banche dati strategiche in Italia. Nunzio Calamucci e Giulio Cornelli, agli arresti, facevano parte dell’allegra brigata che scassinava i data base del Viminale, di banche, enti pubblici, accatastando dati sensibili su personaggi pubblici, politici per lo più, e delle istituzioni. Quello che finora si è appreso basta e avanza per sollevare questioni rilevanti sullo stato di salute della nostra democrazia. Già la sola ipotesi di circa 800 mila dati acquisti e venduti, per un profitto stimato intorno ai 3 milioni (il che è ridicolo, considerando la mole dei file che sarebbero stati venduti a 4 euro ciascuno) fotografa un livello di vulnerabilità dei sistemi informatici pubblici degna di una repubblica delle banane.

Chi ha chiamato in causa l’Agenzia delle cybersecurity, e il senatore Matteo Renzi lo ha fatto, ha più di una ragione. Renzi è stato personalmente “bruciato” dalla fuga di dati giudiziari. Addirittura il suo conto corrente è entrato in un articolo de Il Fatto Quotidiano senza che questo provocasse una qualche reazione indignata.

La vicenda milanese, ancora da definire nelle sue esatte proporzioni che si annunciano comunque ragguardevoli, va oltre la questione della privacy delle persone. In gioco è la sicurezza nazionale e le libertà civili dell’Italia. Se l’inchiesta dovesse certificare quella che al momento è un’ipotesi, cioè la cessione di dati a servizi segreti di altri Paesi, e il pensiero, inutile dire, corre alla Russia di Putin, saremmo di fronte a un vero e proprio atto eversivo. Per gli arrestati l’imputazione potrebbe cambiare da “violazione illegale di data base” in “attentato allo Stato ed eversione della democrazia”.

La curiosità morbosa del lettore magari si appaga nel sapere che l’opera di dossieraggio colpì a suo tempo Letizia Moratti, candidata di Calenda contro Attilio Fontana nelle elezioni regionali in Lombardia. (Forse il presidente Fontana è stato un po’ precipitoso nel rinnovare la sua stima a Enrico Pazzali). Più inquietante è l’orizzonte estero del mercato di dati. Torna alla mente la denuncia politica fatta qualche settimana fa dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, prontamente e scioccamente strumentalizzata dalle opposizioni, quando ha richiamato l’attenzione di tutti su alcune iniziative improprie di qualche Procura. Non era l’allarme, come qualche direttore di giornale buontempone si è affrettato a scrivere, di inchieste su Arianna Meloni o su esponenti del governo. Quel rumore di fondo evocava rischi ben più seri e gravi: chi stava allestendo un ipermercato di data base, magari su commissione di qualche potenza straniera non proprio in rapporti amichevoli con l’Italia? Se il pm De Tommasi scrive “non è esagerato affermare che si tratta di soggetti che rappresentano un pericolo per la democrazia di questo Paese”, ciò significa che esiste un livello di responsabili politici per la mancata vigilanza su quello che è accaduto. Ma esiste anche un livello politico di indagine che deve accertare il grado di esposizione al rischio provocato ai sistemi di sicurezza del Paese. Un brutto affare per l’Italia. Sbaglierebbe l’opposizione, e altrettanto sbaglierebbe il governo, a non comprendere che la questione riguarda tutti e a tutti viene chiesto di collaborare. Una commissione parlamentare d’inchiesta, da allestire subito, è il primo passo da fare.

© Riproduzione riservata

Condividi questo Articolo