Carceri, non bastano 62 suicidi di Stato per varare l’amnistia?

Quello delle carceri italiane è uno scandalo senza eguali. Che cosa aspettano Amnesty international e Human Right Watch a denunciare il governo per violazione dei diritti umani? Condizioni indegne e “strazianti”, come ha detto Mattarella. Di fronte a tutto questo il ministro Nordio si gingilla in provvedimenti bizantini, si inventano nuove fattispecie di reato. L’uktima amnistia è del 1990, l’ultimo indulto del 2006. Dopo 333 amnistie concesse dal 1861, il golpe giudiziario di Tangentopoli ha reso impronunciabile la parola. Giustizialisti e forcaioli a destra e a sinistra

Jean-François Paul de Gondi
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L’unico aspetto positivo dei matrimoni in politica è la loro facile dissolubilità, una volta accertata l’incompatibilità politica e le divergenze insanabili. Non erano pochi i garantisti che profetizzavano l’immediato scioglimento del connubio politico fra il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e un governo che nella politica securitaria e repressiva aveva investito parte della sua identità. Si sono – ci siamo – sbagliati i liberali e i garantisti. Nordio ha fatto presto a mutare pelle e a sposare una linea politica in materia di giustizia che aveva contrastato durante la sua attività di magistrato. Fa amarezza ritrovarci con un ministro “garantista alle vongole” (rubo da Mario Pannunzio).

Da quando si è insediato a via Arenula, il ministro, con l’aiuto di un manipolo di forcaioli della maggioranza, ha messo in piedi 19 nuove fattispecie di reato. L’ultima, per prevenire le rivolte nelle carceri, prevede il processo per quei detenuti che in numero almeno di tre confabulano fra loro per chiedere udienza al direttore. È il chiodo che mancava per sigillare la bara del liberalismo a via Arenula. I funerali si officiano ogni giorno, e le vittime, 62 fino a oggi ma sempre in rapido e tragico aggiornamento, sono i detenuti e il personale penitenziario.

Nordio si è consegnato alle politiche securitarie e repressive, fiore all’occhiello della destra, ma care alla folla di giustizialisti non meno numerosa e rumorosa a sinistra. È così, da quando fu varata l’ultima amnistia, nel 1990. Lo spirito di Tangentopoli da allora alita sulla politica, ne detta le scelte, ne scandisce i tempi, gli obiettivi e le procedure. Come in un supermarket, ognuno sceglie dagli scaffali il prodotto preferito. La sinistra anticipa i processi e chiede le dimissioni di Giovanni Toti, costretto ai domiciliari dal magistrato il quale non nasconde il suo obiettivo: dimettiti da presidente e tolgo gli arresti domiciliari. E la sinistra applaude, contro la destra risentita verso la magistratura. Cinque anni fa la presidente dell’Umbria, Catiuscia Marini, si è dimessa per un’inchiesta sulla sanità dopo aver tentato di resistere ai diktat della magistratura. La destra applaude alla magistratura e si esercita nelle invettive più becere contro la sinistra corrotta. Marini va a processo e viene assolta. Amen.

In questo gioco al massacro fra destra e sinistra, forcaioli il lunedì con gli avversari, garantisti il martedì con gli amici, una certa magistratura ha trovato un terreno fertile per far crescere un potere interdittivo che di fatto decide chi, come, per quanto tempo può governare una Regione o una città. E destra e sinistra, incredibile a dirsi, sono appagate di essere alla mercé del primo magistrato che passa.

Non conosciamo la condizione delle carceri in Europa, abbastanza si conosce della loro situazione in Italia. Tanto basta per chiedersi che cosa ha impedito fino a oggi a organizzazioni come Amnesty International o Human Right Watch di alzare il velo sulla situazione “straziante” (l’aggettivo è del presidente Mattarella) in cui si trova l’umanità carceraria e denunciare il governo per violazione dei diritti umani? Perché il punto è esattamente questo: la privazione di diritti fondamentali, come l’uso di acqua calda o la pulizia delle celle sono concetti che riguardano la dignità della persona. E sono quotidianamente e ripetutamente violati in tutti gli istituti di pena in Italia, compresi i carceri minorili. O l’idea di impedire alle madri di etnia rom (perché solo a loro?) di tenere con sé bambini di età superiore a tre anni. Sono provvedimenti disumani, oltraggiosi e inutilmente repressivi.

La cecità della politica è irreversibile. A nessuno è mai venuto in mente che l’indice non va puntato contro la magistratura ma dovrebbe essere la politica a mettersi davanti allo specchio e accusarsi per tutte le inadempienze, i ritardi, le compiacenze e le timidezze mostrate in tema di riforma della giustizia? Aver trasformato la magistratura nel vero arbitro che decide i destini di un presidente di Regione o di un sindaco non è colpa imputabile alla magistratura, perché sul banco degli imputati ci deve essere soltanto la politica.

Quei 62 suicidi sono suicidi di Stato, perché una volta in carcere la vita di quelle persone è sotto la tutela dello Stato e lo Stato non ha saputo tutelare quelle persone. Toti oggi, ieri Oliviero e Marini, da chi sono stati difesi una volta finiti sotto inchiesta, rinviati a giudizio, processati e assolti? Mai una voce che si sia levata per dire che la giustizia non può ridursi a un tritacarne, per lo più mediatico senza quasi mai effetti giudiziari. Se Nordio ha introdotto 19 nuove fattispecie di reato, una però l’ha cancellata: l’abuso d’ufficio. Una vera e propria amnistia, circoscritta agli amministratori pubblici. Votata da tanti, ma non da tutti. Perché in quel caso Pd e M5S hanno rivelato il loro “animus” giustizialista, quindi pollice verso. L’ha votata quel garantista di Matteo Renzi che in autunno, miracolo della poltrona, vuole sedere allo stesso tavolo con i “questurini” Conte, Fratoianni, Bonelli e Schlein. Per scrivere anche un programma sulla giustizia? Pop corn per tutti.

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