La decisione della Consulta di aprire i percorsi delle adozioni internazionali anche ai singoli cittadini italiani ha l’aspetto di una svolta epocale. Dopo anni di riflessioni e lotte sociali al fine di aprire il diritto alla genitorialità anche a chi non ha un partner, la battaglia sembra finalmente vinta. Ma è davvero così?
La sentenza del 21 marzo 2025, che sancisce proprio questo diritto, passerà alla storia per l’importanza simbolica che porta con sé, ma allo stesso tempo non risulterà abbastanza incisiva per risolvere la crisi dell’adozione internazionale attualmente affrontata dal nostro Paese. L’Italia è il secondo Stato al mondo per accoglienza di minori ed è la Nazione che adotta più bambini con bisogni speciali, come sottolineato dalla ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Eugenia Roccella. Eppure, i dati attuali sulle adozioni internazionali non sono affatto rincuoranti.
Leggi Anche
La flessione delle adozioni internazionali in Italia
Dall’inizio degli anni 2000 ad oggi, le richieste di adozione sono diminuite drasticamente. Il “Rapporto semestrale sui fascicoli dal primo giugno al 30 giugno 2024“, redatto dalla CAI (Commissione adozioni internazionali), sostiene che dal primo semestre del 2014 al primo semestre del 2023 si è passati da 1.834 coppie richiedenti a 478 e da 1.033 bambini stranieri adottati a 300. I fattori di questa vertiginosa diminuzione sono molteplici. Dalle tempistiche, passando alle spese economiche da dover affrontare, fino alle difficoltà di collaborazione con gli Stati di origine di questi minori, sono numerose le problematiche che le coppie, e ora anche i single, dovranno affrontare.
Oltre al sentimento di soddisfazione e orgoglio che la decisione della Consulta porta con sé, è dunque necessario attivare una riflessione sulla reale accessibilità di questi percorsi. Un dato importante da cui partire riguarda il rapporto diseguale tra i bambini effettivamente adottati e il numero delle coppie richiedenti che, come dimostrano i dati del Cai, è nettamente inferiore.
Dove dovrebbero inserirsi i single che vorrebbero interfacciarsi con il mondo dell’adozione? In un contesto in cui le adozioni internazionali sembrano essere ormai in crisi, l’aumento delle richieste potrebbe di fatto non mutare il quadro attuale. Innanzitutto, non tutti i Paesi stranieri permettono le adozioni ai single e ciò potrebbe restringere ancora di più il campo di azione degli aspiranti genitori. A questo si deve poi aggiungere la chiusura da parte di alcune Nazioni alla possibilità di procedere alle adozioni internazionali.
È possibile rendere più accessibili le adozioni internazionali?
Come riporta il CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia), tra i fattori che hanno portato alla riduzione dei Paesi aperti a questi percorsi c’è la recente pandemia da Covid-19, che ha convinto la Cina a chiudere le frontiere dell’adozione internazionale, e la guerra in Ucraina, che ha bloccato le zone della Russia, Bielorussia e la stessa Nazione invasa. In un contesto in cui sembra sempre più complesso riuscire ad adottare un bambino residente all’estero, la decisione di aprire la legge 184 ai single è apprezzata a livello sociale ma sembra controproducente sul piano concreto.
Tale decisione dovrebbe quindi essere accompagnata sul piano politico da una presa di posizione forte che dia uno scossone al settore delle adozioni, sia nazionali che internazionali. All’ipotesi di aprire i percorsi di valutazione anche a individui non inseriti all’interno di “famiglie tradizionali“, composte da una moglie e un marito sposati da almeno tre anni, deve essere però affiancato un percorso di reale miglioramento, mirato a risolvere le problematiche che al momento affossano il settore.
In Italia nel 2023 erano 2500 le famiglie in attesa di adozione e solo 47 gli Enti autorizzati ad operare nell’ambito dell’adozione internazionale. A queste difficoltà, che diminuiscono le possibilità di accedere ad un percorso breve di adozione, si aggiungono i costi elevati di questi procedimenti.
Come riporta Il Corriere della Sera, il tempo medio per un’adozione internazionale è di quattro anni e mezzo, a cui si aggiunge un costo stimato di circa 20mila euro. In questo senso è quindi necessario rendere unitario il tempo massimo per un percorso di adozione e permettere anche alle famiglie o ai single interessati all’adozione internazionale di poter godere dell’aiuto dello Stato. Al contrario dei processi nazionali, infatti, l’Italia non prevede sussidi per le famiglie che intendono affrontare un percorso di adozione in un Paese estero.
Inoltre, maggiori controlli sull’adottabilità dei bambini nei Paesi stranieri renderebbe questi percorsi più sicuri ed eviterebbe incresciosi incidenti che minano la fiducia in questi processi. Potrebbe dunque essere presa in considerazione la possibilità di dare avvio ad adozioni in cui il minore non debba forzatamente recidere i contatti con la sua famiglia biologica, nel caso in cui questa fosse presente, oppure aprire a percorsi di affido internazionale, al momento non previsti in Italia. In questo senso si metterebbe al centro il diritto del bambino ad un ambiente sano e libero in cui vivere, rispetto al desiderio di genitorialità dell’adulto.
Un fattore da non trascurare sono i rapporti esistenti tra l’Italia e i Paesi di origine dei minori adottabili. Sembra sempre più evidente il bisogno di un rinnovamento degli accordi bilaterali con queste Nazioni, al fine di rendere più semplice il trasferimento delle informazioni e il dialogo tra le autorità e al contempo diminuire quindi le tempistiche dei processi di adozione.
Un percorso piuttosto articolato che dovrebbe essere allineato con la volontà di rendere adatta ai tempi attuali la Legge 184 del 1983, di cui la Consulta per il momento ha modificato solamente l’articolo 29-bis, ovvero quello che escludeva i singoli cittadini dalla possibilità di adottare un bambino straniero residente all’estero. La sentenza della Corte Costituzionale del 21 marzo 2025, quindi, segna un precedente fondamentale, che potrebbe segnare l’inizio del percorso di apertura anche delle adozioni nazionali ai single.
Al momento questo tipo di adozioni sono rimaste escluse dalla decisione per il semplice fatto che la Consulta è stata chiamata a decidere su un caso specifico, ovvero quello di Raffaella Brogi, magistrato single, che nel 2019 aveva inoltrato al Tribunale di Firenze la propria “dichiarazione di disponibilità ad adottare un minore straniero”. Da qui, la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte che, a distanza di anni, ha portato a questo momento storico.
Mentre l’orizzonte dei diritti continua ad allargarsi, diventa dunque sempre più imperante la necessità che lo Stato italiano torni ad interessarsi del settore delle adozioni, con l’auspicio che nei prossimi anni i percorsi di adozione diventino più accessibili e soprattutto più semplici, senza però trascurare la necessità di controlli non superficiali ed efficaci. Un maggior controllo, più enti specialistici e una legislazione meno anacronistica sono quindi i tre fattori su cui lo Stato italiano deve concentrarsi, per garantire ad ogni cittadino ritenuto idoneo la possibilità di adottare e allo stesso tempo assicurare ai minori le tutele che gli spettano di diritto.
© Riproduzione riservata