Coraggio e Buongoverno per Reggio Calabria

Amedeo Canale
12 Min di lettura

Suggerimenti per una Nuova Destra che apra al “civismo” e sia alfiere dei cittadini

Nel giornalismo anglosassone esiste la regola delle 5 W (Who, What, Where, When, Why).

I filosofi e i rètori dell’antichità avevano immaginato di sviluppare un tema di discussione, attraverso una griglia di domande fisse e standardizzate.

Senza scomodare Cicerone o Boezio e senza aspirare a modelli di ragionamento eticamente elevati, possiamo semplicisticamente affermare che l’analisi della situazione cittadina dovrebbe partire da questi quesiti e non puntare a trovare risposte nei luoghi che, più di tutti, ne rappresentano il decadimento. Come il Consiglio Comunale o quello Metropolitano, che sono il pantano, le sabbie mobili in cui è imprigionata un’intera comunità.

Questo suggerimento lo regalo soprattutto ai numerosi candidati e/o candidate a sindaco in pectore che, giustamente, dopo Falcomatà & Co, hanno preso atto che i titoli richiesti per guidare Reggio sono una patente B e una lettera di referenze di qualche notabile di casa nella Capitale.

Quindi, qualora qualcuno volesse tentare di ricomporre i pezzi di una comunità disintegrata, dovrebbe avere le capacità e il coraggio di fissare un momento preciso in cui essa ha iniziato a collassare. Poi, dovrebbe individuarne le cause; capire dove esse si siano generate e chi le ha determinate.

Infine, dovrebbe fare autoanalisi ed interrogarsi sulla propria capacità di immaginare soluzioni o anche semplicemente di indicare una strada da seguire. E di coagulare donne e uomini disponibili a spendersi per questa impresa, possibilmente intercettando quel desiderio di “civismo” che ogni giorno cresce nel Paese e che può costituire un valore aggiunto, un appiglio forte alla concretezza, proprio per le coalizioni classiche chiamate a ruoli di Governo.

Ma qui casca l’asino! Perché, nella città in cui tutto si sa, pur senza che venga detto, il clima di minaccia perpetua cui siamo tutti sottoposti ed il terrore strisciante che ne deriva, ci suggerisce di chinare il capo, di girare lo sguardo altrove, di pensare ai fatti nostri.

Anche se, i fatti nostri, oramai sono fondamentalmente ridotti a poca cosa…non potendo intraprendere senza rischi di interdittive; non potendo associarci senza paura di essere tacciati di mafia; non potendo operare in un contesto di regole e diritti che non siano proprietà privata di chi dovrebbe garantirceli.

La situazione è così tragica che, in una fase storica difficilissima a livello globale, a tener banco a Reggio Calabria è la “vicenda Miramare” che, dalla sua genesi fino al suo epilogo, ci consegna il ritratto plastico di una città che si è ritirata nel più totale individualismo, perché priva di guida e di senso della collettività. Una città così tanto avvitata sull’interesse personale, da essere incapace di percepire e di indignarsi per la pochezza di chi la dovrebbe governare.

Non le difficoltà delle imprese che chiudono e che licenziano. Non l’abbassamento drastico della qualità dell’offerta commerciale che, in passato, è stata invece di altissimo livello. Non i servizi pubblici da Paese socialista. Non la privazione del diritto costituzionale alla mobilità a prezzi e orari ragionevoli. Non il caro energia che fa abbassare per sempre le saracinesche. Non gli allarmi continui delle Associazioni di categoria. Non le Università che non raggiungono le quote minime di iscrizioni per tenere in piedi i corsi. No!

Ad appassionarci è la vicenda di quattro ragazzini arroganti a cui è stata inculcata la convinzione di essere padroni di tutto e tutti. Tanto da poter ordinare ancora oggi ai cittadini di attenderli silenti e per anni in anticamera, mentre tentano di uscire indenni dall’ufficio del Preside che li ha sospesi.

La considerazione che i cittadini tributano alla politica è pari allo zero.

Il rispetto che i cittadini tributano ai politici è pari allo zero.

Questo fa sì che, qualunque nefandezza, passi in cavalleria al pari dei cumuli di spazzatura (pagati a peso d’oro dai contribuenti) che ci ritroviamo sotto casa.

Se chiedi ad un reggino qualunque: “conosci il nome dell’assessore a questo o quel settore?” la risposta che si avrà è un sonoro “no, chi se ne fotte?!”.

Se chiedi ad un imprenditore, ad un commerciante, ad un professionista: “con chi ti confronti sulle tue esigenze?”, nel migliore dei casi la sua risposta sarà il nome di qualche burocrate che, da circa otto anni, fa il bello e il cattivo tempo e comanda senza freni politici nel comparto di riferimento.

Mentre una volta non era così! Non lo era per nulla…

Allora, crediamo ancora che si possa rimettere in piedi la baracca senza rispondere alle cinque domandine magiche con cui ho esordito? Io penso di no!

Quindi, propongo un mio pensiero come spunto di discussione: il momento del collasso è il giorno dello scioglimento del Comune per mafia. Ed è da qui che si dovrebbe partire.

In primis, per tentare di riparare ad uno sfregio senza precedenti e senza fondamento.

Poi, per riannodare i fili (tranciati violentemente) di un percorso collettivo che guardava lontano.

A dieci anni dal quell’evento, tutti sappiamo che esso si realizzò su basi poi smentite nelle aule di Giustizia. Che un provvedimento del genere, solo secondariamente alla luce delle verità giudiziarie, appare, oggi come allora, tanto sproporzionato, quanto capzioso. Che esso piegò scientificamente una classe politica, per sostituirla con un’altra priva di spessore, al costo incommensurabile della tenuta economica e sociale della prima città della Calabria.

E aggiungo: trovo disdicevole che, magari da posizioni istituzionali elevatissime, chi oggi lo evoca come motivo di lotta politica o come giustificativo per compagni di partito caduti in disgrazia, non ricordi come il proprio nome (a mio avviso, senza alcuna ragione plausibile!) si leggesse e si legga proprio nella Relazione che lo determinò.

Il silenzio della imbarazzante pattuglia parlamentare reggina sull’argomento, poi, dimostra come essa non rappresenti la città, ma solo i propri interessi. In primis quella di Centro-Destra.

E che i suggeritori di costoro, in realtà, dovrebbero mettersi l’anima in pace, ritirarsi e risparmiare fiato.

Ergo, questi fragilissimi curriculum professionali e politici, non dissimili da quello di un Di Maio qualsiasi, non solo sono inadeguati a portare il tema al tavolo del nuovo Governo, ma devono essere scartati senza indugio sia come selezionati, che come selezionatori.

Qualche giorno fa ho letto un pezzo che richiamava all’unità della Destra/Centro-Destra reggini.

Ci ho visto sincere motivazioni ideali, un forte senso di insopportazione per la situazione in essere e grande fiducia nel nuovo corso politico. Ma ho colto anche una conclamata ingenuità. Che non ci si può più permettere.

Allora, mi concedo alcune brevi riflessioni.

Del cd. Centro-Destra in Consiglio Comunale (mentori inclusi) è inutile fare menzione. Se regge il moccolo a questa amministrazione e permette da anni che la città sia ostaggio di un sindaco pluricondannato e di una squadra di sospesi, allora o è più scarso di loro o è complice. O anche tutte e due le ipotesi insieme.

E’ invece interessante ragionare su un piano più generale e azzardare un’analisi, seppur sommaria.

La Destra reggina ha una serie di problemi che non possono essere sottaciuti. Soprattutto se essa rappresenta l’unica alternativa possibile ad una Sinistra che è stata schiacciata ovunque sotto il peso delle schede elettorali.

Non ha un leader e non è disponibile ad averlo, perché è la somma residuale e rissosa di diversi (presunti) minileaders. Quindi, ne subirà nuovamente qualcuno calato dall’alto, scelto perché aderente ai modelli in voga o su suggerimento di qualcuno dei campioni di cui sopra. E la città rimarrà tiepida di fronte ad una chance di cambiamento inevitabilmente perduta.

Non avendo un soggetto trainante credibile, non riesce più a chiamare all’impegno pubblico le intelligenze e le competenze che, invece, servirebbero ad offrire alla città un modello differente di sviluppo. Risorse che pretendono qualità e qualificazioni e che, pur non appartenendo necessariamente a quella comunità politica, potrebbero ritrovare in un progetto inclusivo il senso di un impegno pubblico che, purtroppo, senza autorevolezza, invece risulta sconsigliabile e pericoloso.

Continua a giocare a Roma una partita che, invece, si deve giocare sul territorio.

Si è fatta privare delle proprie radici identitarie e considera dunque accettabile l’affidarsi a grotteschi proconsoli di mediocri chiacchieroni di altre provincie.

Ha abdicato al ruolo di guida della più importante città della Calabria e ha rinunciato alla primazìa sul tema della Città Metropolitana.

E’ affetta da un nostalgismo cronico per un’esperienza amministrativa senza dubbio esaltante, di sicuro rimpianta da gran parte della gente (nonostante la propaganda martellante della sinistra), ma che non potrà più ripetersi così come è stata. Proprio per l’assenza dei presupposti fin qui elencati.

Ha smarrito il senso della della Politica che insegna che, vincere nelle urne, non significa automaticamente saper governare. E che la qualità delle donne e degli uomini che esse esprimono, conta! Eccome se conta…

Infine, registra nei propri vertici politici nazionali, oggi anche di Governo, un coacervo di indifferenza, ostilità, paura e pavidità che son frutto di una narrazione criminogena che nessuno sa o vuole fronteggiare.

E che nessuno rimprovera a chi si proclama alternativo ai forcaioli e ai giustizialisti.

Insomma, il nemico della Destra reggina è la Destra stessa.

Che continua a combattere una guerra di retroguardia al proprio interno, invece di muoverla ai veri nemici del Paese, della città e del buongoverno.

© Riproduzione riservata

Condividi questo Articolo