Gucci figlio di nessuno, ma di una creatività interstiziale

La Milano FW esordisce al fashion month con la sfilata di un Gucci senza direttore creativo ma che ha presentato la collezione Continuum nel segno della continuità di oltre 100 anni di storia

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Sabato de Sarno è appena stato scortato all’uscita della direzione di Gucci e la maison ha già resettato il proprio linguaggio stilistico. Dall’ultima collezione Fall-Winter 25-26 presentata in apertura della Milano Fashion Week, non trasuda alcun tratto del designer napoletano. Si rilegge piuttosto un team di progettazione che ha preso nelle proprie mani una creatura da plasmare nel migliore delle forme possibili, senza rosso Ancora, senza soprabiti plastici, senza canzoni romantiche.

Gucci Continuum

Una sfilata ieri che è stata infatti accompagnata da una composizione originale del compositore e direttore d’orchestra Justin Hurwitz, vincitore di due premi Oscar, messa in scena da un’orchestra dal vivo. Uno show che è stato costruito da una creatività interstiziale, tra una miscela di passati e un’ispirazione troppo ispirata a chi attualmente viaggia con il vento in poppa. Continuum, infatti, il nome della collezione co-ed pensata e prodotta dall’ufficio stile, spalleggiato dalla stylist e consulente di immagine Suzanne Koller.

Sessanta variegati look che sono un insieme dei codici del marchio e i momenti che ne hanno fatto la storia, uniti da un morsetto, l’Horsebit, segno riconoscibile di Gucci tanto quanto la ‘doppia G’, declinato come suggello della continuità. Nonostante fosse permeata da quella studiata disinvoltura tipica dello stile italiano, la collezione ritorna sull’interstiziale unendo rigore sartoriale e fluidità, mentre le silhouette abbracciano varie epoche, in una sintesi che parte dalla fine degli anni ’60, gli albori del ready-to-wear di Gucci, fino ad arrivare al minimalismo della metà degli anni ’90 con l’era sensuale di Tom Ford, fino alla più recente estetica massimalista di Alessandro Michele. Una serie di codici stilistici trasformati in diretti sinonimi del marchio.

Il passo deciso dei modelli ha segnato l’esigenza di tracciare un nuovo percorso di ricostruzione che parte necessariamente da ciò, che in sua assenza, creerebbe confusione e disorientamento. Al contempo, emerge l’insicurezza tipica di ogni periodo di riscrittura, incisa nella paura di sbagliare ma sanata da una sorta di “copiare dal migliore”. In questo caso Prada e la sorella minore Miu Miu, in vetta ai brand più desiderati e che tra l’altro sta procedendo con l’acquisizione di Versace. Sono stati molti, difatti, i riferimenti diretti al messy tipico di Miuccia nonché all’ugly chic decisamente lontani da una visione Gucci.

L’uomo e la donna tornano a convivere nella sfilata, e prima di tutto nella visione di Gucci, avvolte in un velluto verde bosco profondo chiuse in coda dal team creativo uscito in felpa. Un insieme di completi monocolore ed imponenti cappotti in tweed fiammati, pantaloni con spaccio alla caviglia e comode slipper, cardigan mohair e bluse a lupetto. Un trionfo di body in pizzo, pellicce, trench, gonne al ginocchio e alti sabot a punta, cappelli e foulard annodati in testa da diva. Il tutto accomunato da un’armonia cromatica in gradazioni di verde, grigio, viola e marrone.

Il futuro di Gucci

A bordo passerella, tante voci e molti volti ma nessuna risposta su chi prenderà il posto di De Sarno. Il futuro direttore creativo sarà chiamato a risollevare i destini del marchio, fiore all’occhiello del gruppo Kering, che dagli ultimi dati finanziari presentati ha rivelato un calo del fatturato del 23%. Per di più, a martellare le menti, permane l’incognita se siano migliori, più stimolanti e originali le collezioni senza padre ma cresciute da un team creativo.

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