Vorremmo essere ottimisti e affermare, parafrasando Mark Twain, che la notizia della morte della Nato “è lievemente esagerata”. Oddio, sta messa molto male, questo sì, nessuno può negarlo. Neppure Trump. Non deve essere semplice per un premier europeo svegliarsi la mattina, in ore magari antelucane per via del fuso orario, al suono del bip dello smartphone con la notizia della Bbc o del New York Times che annuncia una sciabolata di Trump contro un malcapitato di passaggio. Dal giorno del suo insediamento, il 20 gennaio, sono trascorsi 40 giorni. Un tempo biblico perché in 40 giorni il mondo ha subito qualcosa di simile alle sette piaghe d’Egitto scagliate dal principale furibondo per la schiavitù del popolo ebraico. Proviamo a stare alla cronaca che diventa storia sotto i nostri occhi, anche solo scrivendo di un vertice o di una dichiarazione. Domenica 2 marzo di che cosa discuteranno a Londra i premier dell’Unione europea, ai quali si aggiunge Volodymyr Zelensky ma lasceranno fuori la porta anelli dei Paesi Baltici?
Si ha l’impressione che l’agenda del vertice, a cui si sta lavorando in queste ore, si annuncia talmente fitta che va a finire non parleranno di niente. Sì guarderanno un po’ tutti con l’aria smarrita, lo sguardo attonito come di chi ha avuto un grave lutto in famiglia e non sa ancora capacitarsi dell’evento improvviso. Non del tutto inatteso, sia chiaro, ma sorprendente per la rapidità con cui le cose succedono. Le immagini di quel colloquio concitato, presto diventato un diverbio bell’e buono al punto da farci trattenere il fiato nel timore che una mano potesse alzarsi all’improvviso, resteranno indelebili nella memoria di tutti. Trump non aveva fatto altro che rendere esplicito, chiaro il suo ricatto a Zelensky: devi accettare il cessate il fuoco. Zelensky diceva, sì, va bene ma chiedo le garanzie degli Stati Uniti sul rispetto del cessate il fuoco visto che Putin, dopo gli accordi Minsk II, ha violato ben 25 volte il cessate il fuoco. Trump, c’erano altri presidenti, con me è diverso. Conclusione: nessuna garanzia, accetta il cessate il fuoco e firma l’accordo di 500 miliardi in cambio delle “terre rare” che servono agli Usa.
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Attimi di sospensione. Zelensky, pallido in volto, annuncia che no, non firmerà. Viene giù il sipario. La fotografia di quegli istanti la fissa il senatore democratico Adam Schiff: “there was only one person acting presidential in the Oval Office today: Volodymyr Zelensky” (c’è stato un solo protagonista che agiva nello studio Ovale della Casa Bianca: Volodymyr Zelensky). Zelensky aveva chiesto quello che anche l’Unione europea chiede a Trump: fornire garanzie a Kiev in caso di violazione del cessate il fuoco da parte della Russia.
Ecco il punto su cui domenica 2 marzo i premier europei dovranno spendere tempo e credibilità: come comportarsi di fronte a un reiterato rifiuto di fornire garanzie a Kiev da parte di Trump? Potrebbero offrirle Francia, Inghilterra e altri Paesi volenterosi? Meloni declinerà un impegno del genere per confermare la disponibilità dell’Italia solo sotto la bandiera dell’Onu? Ma l’Onu, senza un accordo di pace sottoscritto da entrambe le parti, non invierà mai una forza di peacekeeping in Ucraina.
Secondo molti osservatori, un accordo sbilanciato a favore della Russia consentirebbe a Mosca di intraprendere future aggressioni militari contro l’Ucraina senza conseguenze; consentirebbe inoltre a Putin di esercitare una forte pressione sulla politica ucraina impedendo a Kiev di allinearsi diplomaticamente con l’Occidente, trasformandola di fatto in uno stato satellite russo. Su Foreign Affairs, Janina Dill, Marnie Howlett e Carl Müller-Crepon hanno recentemente sostenuto che di fronte a un accordo privo delle necessarie garanzie, gli ucraini probabilmente lo espingerebbero e continuerebbero a combattere anche senza il supporto degli Stati Uniti.
Non è diverso il giudizio di Andrea Kendall-Taylor, direttore del programma di sicurezza transatlantica presso il Center for a New American Security. È convinto che la priorità di Trump è “porre fine alla guerra a qualsiasi costo” senza riguardo per le conseguenze. “La cosa che più mi preoccupa è che Putin in sostanza sta per ottenere concessioni dagli Stati Uniti in modo da rafforzare unicamente la sua posizione per ulteriori aggressioni in futuro”. Per Kendall le cose sono chiare: l’atteggiamento di Trump altro non è se non “un invito per Putin ad una ulteriore escalation”.
Di una cosa si può esser certi: nessuno dei partecipanti al vertice di Londra manifesterà l’intenzione di porre l’aut-aut a Trump. Sarebbe una scelta più che incauta fatta senza aver prima esplorato la forza negoziale che può venire dalla decisione di accelerare il riequilibrio militare fra le due sponde dell’Atlantico, richiesta sulla quale Trump è inflessibile. Messa sul tavolo, una decisione simile avrebbe la conseguenza di rendere difficile per Trump insistere nel rifiuto di fornire garanzie a Kiev. Lo ha lasciato intendere la cancelliera dello Scacchiere britannica, Rachel Reeves. Il Regno Unito non prenderà posizione tra Stati Uniti e Ucraina, confermando il pieno sostegno a Kiev. “Questo governo non sceglierà tra Paesi. I cittadini ucraini possono sapere che siamo pienamente al loro fianco”. A questo proposito, Reeves ha ricordato l’impegno britannico di un contributo annuo di 3 miliardi di sterline “per tutto il tempo necessario”. L’Inghilterra ha fatto di più, approvando la legislazione che consente di destinare all’Ucraina i profitti dei beni russi congelati. Forse qualche spunto in più di riflessione verrà a Trump dal suo amico personale Nigel Farage. Il leader populista “eurofobico” ha definito “spiacevole il diverbio avvenuto alla Casa Bianca” sotto gli occhi delle telecamere: un episodio che “spingerà Vladimir Putin a sentirsi come il vincitore“. Farage ha auspicato un accordo di pace in Ucraina sostenuto da tutto l’Occidente “con le giuste garanzie di sicurezza per Kiev”. Forse è tempo per Salvini di guardarsi intorno per capire se non sia l’ultimo dei Mohicani rimasto in difesa di Trump.
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