La situazione in Nuova Caledonia, ex colonia francese in Oceania, sembra stia tornando alla normalità. Le rivolte sembrerebbero essersi concluse e il Paese potrebbe tornare sulla via del dialogo con la Francia. Il presidente Emmanuel Macron ha quindi ritirato lo Stato di emergenza, mantenendo però alto il livello di attenzione nell’arcipelago. L’aeroporto di Noumea, capitale dell’ex colonia, rimarrà chiuso fino al 2 giugno, come precedentemente dichiarato, e nelle prossime ore saranno inviate nel Paese altre sette unità di forza mobile, raggiungendo un totale di 3.500 agenti sul territorio.
Macron ha deciso di non voler abbandonare ancora il “pugno di ferro” inviando una sorta di messaggio ai kanaka, la popolazione indigenza della Nuova Caledonia: la Francia non perdona le rivolte. Dal 13 maggio, giorno di inizio delle sanguinose proteste, sono morte 7 persone, tra cui due gendarmi francesi. Macron però ha deciso di non cedere e la revisione costituzionale, che ha provocato lo scoppio delle proteste, non è stata ritirata né posticipata. Il presidente francese non ha intenzione di mediare con chi usa la violenza, nonostante i movimenti indipendentisti nel Paese siano ancora molto forti.
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I tre referendum, tenuti nel 2018, nel 2020 e nel 2021, hanno ottenuto esito negativo, con la vittoria dei filofrancesi. La nuova revisione costituzionale, che andrà a modificare il trattato di Noumea del 1998, potrà solo peggiorare la situazione, di fatto aumentando il numero di residenti stranieri e facendo diminuire la percentuale di kanaka nella popolazione della Nuova Caledonia.
Cosa è successo in Nuova Caledonia
L’ultima rivolta in Nuova Caledonia è scoppiata lo scorso 13 maggio, a seguito della riforma elettorale approvata dal Parlamento francese e respinta dagli indipendentisti del territorio. La popolazione della nuova Caledonia è divenuta una sorta di melting pot, a causa della presenza delle popolazioni indigente e delle migliaia di cittadini francesi trasferitisi nel paradiso dell’Oceania. È presente inoltre un’alta percentuale di immigrati, giunti nel Paese per lavorare nelle aziende e nelle industrie francesi sul territorio. Per chi abita l’arcipelago da più tempo, però, questa “invasione” sta iniziando a destare preoccupazione.
In particolare, gli indigeni hanno deciso di ribellarsi conto la riforma costituzionale, imposta dalla Francia, che permetterebbe ai cittadini francesi residenti nell’arcipelago di votare, aumentando così l’influenza francese nello Stato. Non è la prima volta che la Nuova Caledonia si rende protagonista di una rivolta contro la Francia, anche grazie alla presenza di un movimento indipendentista molto forte nel Paese, solitamente a capo delle rivolte.
Nuova Caledonia, ex colonia semi-indipendente a 24 ore di volo da Parigi
Le rivolte in Nuova Caledonia non sono improvvisamente scoppiate nel 2024. Alla Francia tale revisione della storia potrebbe far piacere ma non corrisponderebbe alla verità. La popolazione dell’arcipelago apparentemente paradisiaco covano al loro interno la rabbia di secoli di soprusi, violenze e privazioni di libertà.
Venne “scoperta” nel 1774 da James Cook e da quel momento iniziò a vivere l’incubo coloniale. Nel 19esimo secolo divenne colonia francese, precisamente nel 1853 su ordine di Napoleone. La sua popolazione fu deportata, massacrata, esposta come un animale da circo e soprattutto ingannata. Colpe che sicuramente non possono essere imputate all’attuale governo francese, ma che possono far comprendere le motivazioni di un popolo abituato ad essere usurpato dalle popolazioni europee.
Dopo l’occupazione il territorio della Nuova Caledonia venne utilizzato dalla Francia per istituirvi delle colonie penali, dove vennero trasferiti migliaia di prigionieri, compresi quelli politici provenienti dalla repressione della Comune di Parigi. Così la popolazione della Nuova Caledonia inizia a cambiare. Già in questo periodo iniziarono le prime rivolte da parte della popolazione indigena dei kanaka. Vennero tutte represse.
Nel 1946 la colonia assume lo status di territorio d’oltremare con il potere politico che però rimane in mano alla Francia. Nel 1984 una coalizione di partiti indipendentisti formati da forze indigene fondò il Fronte di liberazione kanaka e socialista, esistente ancora oggi. Questo dichiarò unilateralmente l’indipendenza, boicottò le elezioni locali e diede inizio a proteste violente. Grazie all’azione di questi gruppi nel 1988 il governo francese scese a patti con la Nuova Caledonia, siglando un patto trentennale che diede inizio ad un percorso verso il referendum per l’indipendenza. Il primo referendum arrivò nel 2018, seguito da altri due. In tutti e tre le forze indipendentiste persero e la Nuova Caledonia rimase sotto il controllo francese.
L’incredibile contraddizione dei tre referendum
I primi due referendum diedero due risultati piuttosto simili: il 56,7% e il 53,3% dei votanti si espresse contro l’indipendenza totale della Nuova Caledonia dalla Francia. L’ultimo referendum, avvenuto nel 2021, si è svolto però in un momento piuttosto complesso: la pandemia da covid-19. Il 96,4% dei voti fu contro l’indipendenza ma solo perché il partito pro-indipendenza ha deciso di esortare i cittadini a non partecipare al voto, poiché non era stato possibile realizzare “una campagna equa“.
Ovviamente nel 2021 è crollato anche il tasso di partecipazione (45%) rispetto al 73,68% registrato nel 2018 e il 79,63% del 2020. Tra il primo e il secondo referendum il numero di filofrancesi era diminuito, prospettando quindi la possibilità che nel referendum del 2021 si potesse finalmente registrare la vittoria degli indipendentisti. Il piano è andato però in fumo e nel caso in cui la revisione costituzionale venga approvata è molto poco probabile che i kanaka possano raggiungere l’obiettivo dell’indipendenza.
Tale revisione andrebbe infatti ad intaccare l’accordo di Noumea del 1998, che prevede la partecipazione al voto solo di coloro che sono residenti nel Paese dal 1988, tenendo sempre in considerazione che la percentuale di kanaka nel Paese si sta riducendo drasticamente di anno in anno. Il nuovo testo, quindi, permetterebbe di votare anche ai cittadini con soli 10 anni di residenza.
La Francia si assicurerebbe così il continuo controllo sulla ex colonia, ormai semi indipendente ma di fatto strettamente legata ad una Nazione a ben 2000 km di distanza. Una situazione che sembra irreversibile e che potrebbe condannare la popolazione dei kanaka ad una estinzione precoce. Intanto la Francia continuerebbe ad usufruire dell’esportazione del nichel, di cui la Nuova Caledonia sarebbe il terzo Paese esportatore al mondo, e delle altre numerose industrie aperte sul suo territorio.
Agli inizi degli anni 2000, infatti, le regioni settentrionali dell’isola principale divennero teatro di un’espansione industriale, che distrusse l’ecosistema di quel territorio. Oggi in quella zona si contano circa 4mila diverse aziende, di cui i kanaka possiedono il 51%, anche se negli ultimi anni, a causa delle crisi del nichel e delle difficoltà dei commerci, la maggior parte degli indigeni hanno perso interesse nel settore. La crisi economica, dunque, si aggiunge ai fattori di scoppio della protesta, con la continua e disperata richiesta dell’indipendenza.
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