Il segretario di Stato americano Anthony Blinken è giunto in visita a Tel Aviv per la decima volta dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas. In questo caso l’obiettivo degli Usa è quello di ottenere da Netanyahu la conferma che lo Stato ebraico è realmente interessato ai negoziati in corso e che è pronto a rispettare le richieste di Hamas che potrebbero portare finalmente ad un cessate il fuoco definitivo nella Striscia di Gaza. La tensione sul territorio è ormai alle stelle e gli sforzi dei mediatori di Usa, Qatar ed Egitto, sembrano inutili di fronte al continuare delle offensive tra le due forze in gioco.
Hamas sembrerebbe recriminare ad Israele i continui attacchi, anche durante le ore delle trattative, mentre lo Stato ebraico non vorrebbe lasciare la missione a metà, ovvero non distruggere completamente l’organizzazione terroristica palestinese. Così la situazione si trova nuovamente in una fase di stallo, mentre la morte e la devastazione continuano ad imperversare nella Striscia. L’obiettivo di Blinken, però, è stato quello di esercitare una pressione senza precedenti sul primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, affinché questo “non impedisse l’ultima possibilità per l’accordo di Hamas“.
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Le istituzioni dello Stato ebraico non si sono fatte cogliere impreparate e, all’arrivo di Blinken, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha sostenuto: “Le decisioni devono essere prese dal gabinetto di sicurezza” e non dal singolo primo ministro. Il compito dei mediatori, quindi, si fa di giorno in giorno più complesso, mentre la tensione continua a crescere nel martoriato Medio Oriente.
Le richieste irremovibili di Netanyahu
“Ci sono cose su cui possiamo essere flessibili e altre su cui non possiamo esserlo, e insistiamo su queste” con queste parole il premier Benjamin Netanyahu ha avvertito gli Stati Uniti sulle sue intenzioni, bloccando sul nascere le intenzioni del segretario di Stato americano. “Stiamo conducendo negoziati molto complessi, mentre dall’altra parte c’è un’organizzazione terroristica omicida, disinibita e ostinata – ha continuato il leader dello Stato ebraico – La pressione dovrebbe essere rivolta a Hamas e al suo leader Yayha Sinwar, non al governo israeliano“. Anche questa volta, Netanyahu ha giocato la carta dell’organizzazione terroristica, ricordando chi è stato il primo a dare inizio a questa guerra.
In un momento in cui però lo Stato in estrema difficoltà è solo uno, gli Usa hanno riconosciuto la necessità di porre dei freni alle intenzioni del premier israeliano. Si lavora quindi ad un accordo che sposti la linea rossa di Netanyahu. Il leader dello Stato ebraico, infatti, non avrebbe intenzione di lasciare il corridoio Filadelfia, tra Gaza ed Egitto, né il valico di Rafah e Netzarim, la strada che taglia la Striscia tra Nord e Sud, prerogative invece fondamentali per Hamas. Il team di negoziatori, quindi, è tornato da Doha con una sola certezza: “O il controllo di Filadelfia o l’accordo“.
Si prevede, quindi, che Anthony Blinken presenterà sul tavolo di Netanyahu la proposta dei mediatori, che consiste in una clausola che garantisce a Israele il diritto di riprendere le ostilità militari contro Hamas se le armi venissero spostate nel Nord di Gaza, ma che prevede che l’Idf si ritiri da Netzarim e dal corridoio di Filadelfia per le sei settimane della prima fase del piano per il cessate il fuoco. Nel caso in cui queste proposte vengano accettate da Netanyahu, allora il segretario di Stato americano potrà portare sul tavolo del leader israeliano la questione degli ostaggi, ancora tutta da chiarire.
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