Benjamin Netanyahu non dovrà più preoccuparsi solamente del conflitto con Hamas, della tregua in Libano e della caduta del regime di Basher al-Assad, ma nelle prossime tre settimane dovrà anche destreggiarsi con il processo in atto nei suoi confronti per le accuse di corruzione in ben tre casi giuridici differenti. Netanyahu ha messo piede ieri per la prima volta nel tribunale di Tel Aviv, circondato da cronisti, da ministri del suo governo e da famigliari degli ostaggi che continuano a chiedere la liberazione dei loro cari.
In una situazione concitata, il premier si sarebbe rifiutato di sedersi sul banco degli imputati per evitare che i giornalisti potessero scattargli delle foto. Netanyahu avrebbe poi dato inizio ad una deposizione della durata di cinque ore, in cui ha respinto tutte le accuse, sostenendo inoltre di essere convinto che questo momento storico non sarebbe il più giusto per sostenere questo processo. Il primo ministro, infatti, per le prossime tre settimane sarà costretto a recarsi in tribunale numerose volte – almeno 3 ogni 7 giorni – proprio per porre fine al processo che lo vede protagonista, continuando a destreggiarsi a capo di uno Stato in guerra.
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“Ora è la politica che conta, non la copertura mediatica positiva“, ha tuonato Netanyahu, cercando di convincere l’opinione pubblica che al momento le accuse nei suoi confronti sarebbero meno importanti della guerra che esso sta portando avanti, con l’obiettivo di liberare la popolazione israeliana dal giogo dei Paesi islamici. Il premier dello Stato ebraico ha respinto ogni immagine di se stesso come uomo dedito ai lussi sfrenati, ricordando come la sua sia una vita dedicata allo Stato, frenetica e soprattutto scarna di benessere.
Tale volontà di chiarire le caratteristiche del suo stile di vita nasce proprio da una dei capi di imputazione che lo riguarda. Netanyahu è stato infatti accusato di aver accettato l’equivalente di 260mila euro in regali costosi, tra cui sigari, casse di champagne e soggiorni in hotel di lusso per lui e la sua famiglia. Il tutto in cambio di favori. Altre due accuse, affrontate nel processo, vedrebbero il titolare della Knesset sospettato di aver portato a termine accordi con alcune testate ebraiche affinché queste parlassero bene di lui e del suo governo.
Per quanto riguarda quest’ultima accusa, il primo ministro israeliano ha riconosciuto di aver trattato, nel corso del suo mandato, con diversi uomini di affari al fine di modificare una situazione mediatica che sarebbe, dal suo punto di vista, troppo “monolitica“, in quanto rifletterebbe solo l’opinione del campo politico di sinistra dello Stato ebraico. Nonostante tale confessione, il premier avrebbe sostenuto di non aver commesso alcun illecito e che le accuse nei suoi confronti sarebbero solamente un tentativo di “colpo di Stato politico guidato dalla Procura“.
Netanyahu alle prese con la liberazione degli ostaggi
A seguito della conclusione dell’udienza, il primo ministro è tornato nelle War rooms, per continuare a guidare il conflitto contro Hamas. Al centro delle discussioni odierne vi sarebbe il destino degli ostaggi israeliani ancora nelle mani dell’organizzazione terroristica palestinese. Al momento Netanyahu non avrebbe commentato i passi in avanti del governo, ma sembrerebbe che i Paesi mediatori e i funzionari israeliani di alto livello si trovino a buon punto.
Si ipotizza, addirittura, che si stia lavorando ad una data per il rilascio, come confermato dall’agenzia di stampa Ynet. Gli ostaggi potrebbero essere rilasciati già tra un mese, addirittura prima dell’insediamento del presidente eletto Donald Trump negli Stati Uniti.
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