Medio Oriente, l’uccisione di Sinwar è “l’inizio della fine della guerra” ma restano i dubbi sulla pace

Le offensive dell'Idf sui territori di Gaza non si fermano e decine di morti innocenti continuano a soffrire le conseguenze di una guerra che non sembra avere fine; intanto gli Usa iniziano a spingere per un cessate il fuoco, diminuendo anche le quantità di armi e munizioni donate allo Stato ebraico

Redazione
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Yahya Sinwar, il capo di Hamas e architetto della strage del 7 ottobre, è stato ucciso. Lo confermano le foto pubblicate dai media israeliani del suo corpo sanguinante e in parte coperto dalle macerie, in tenuta militare e con un’espressione quasi fiera, che sembra gridare: “Sono morto in battaglia“. Uno degli obiettivi principali dello Stato ebraico è stato raggiunto e ora si apre un futuro di incertezze e di dubbi che riguarda il destino del Medio Oriente. “La pace è veramente più vicina?“, questa sembrerebbe essere la domanda che aleggia nelle menti di chi osserva e anche di chi vive il conflitto medio orientale, mentre le bombe continuano a cadere.

La morte di Sinwar, infatti, non ha posto fine alle offensive di Israele. Nella notte, un raid dell’Idf ha colpito una scuola trasformata in rifugio nel quartiere di Jabaliya, nella Striscia di Gaza. Sono state uccise almeno 28 persone, a cui si aggiungono 11 decessi provocati da altri attacchi. Tra questi vi sarebbero anche diversi bambini e uomini e donne del personale medico sanitario. La strage non si ferma e le immagini di palestinesi bruciati vivi, mentre nessuno riesce a trovare acqua o coperte per porre fine al suo supplizio, continuano ad affollare i social network.

Al momento resta da comprendere se realmente la morte di Sinwar possa essere l’elemento decisivo per il cessate il fuoco. Secondo diverse fonti l’organizzazione di Hezbollah non potrà resistere più di un altro mese sotto i colpi di Israele e l’Iran potrebbe decidere di non intromettersi nella questione, preferendo lasciar crollare i miliziani libanesi piuttosto che mettere in pericolo la stabilità del proprio Stato. Nel mezzo, gli Usa osservano con attenzione cosa sta accadendo, con l’obiettivo di spingere sempre di più il governo di Israele a stipulare un accordo diplomatico con i Paesi arabi e porre definitivamente fine alle ostilità.

Netanyahu: “La guerra non è finita

I primi messaggi rilasciati dal premier israeliano Benjamin Netanyahu a seguito dell’uccisione di Sinwar non sembrerebbero essere rassicuranti. “L’Idf non deve rallentare le manovre” è stato il monito iniziale, seguito da un spiegazione piuttosto cristallina: “La guerra non è finita, ma Hamas non governerà mai più in Palestina“. Sembra esservi quindi la consapevolezza che al momento l’organizzazione terroristica islamica sia stata decapitata e lasciata in una condizione che non lascerebbe presupporre la possibilità di una rinascita.

Il leader di Israele Banjamin Netanyahu
Il leader di Israele Banjamin Netanyahu

Eppure, il timore che nei prossimi anni Tel Aviv possa essere nuovamente in pericolo sembra spingere il governo israeliano a proseguire le offensive, a radere al suolo villaggi e ad uccidere civili innocenti. “Temiamo le ripercussioni sugli ostaggi” dichiarano alcuni cittadini israeliani, commentando le azioni del loro governo, eppure per ora non vi è alcun inizio di una trattativa diplomatica. Hamas, ormai distrutto nelle fondamenta e nei vertici, non avrebbe il potere di negoziare se ora fosse aperta una via diplomatica e inizia dunque a farsi strada l’idea che il governo di Tel Aviv stia mettendo in atto una nuova fase della guerra.

La soluzione dei “Due popoli due Stati” per Netanyahu non andrebbe presa in considerazione perché la crescita demografica dei residente di Gaza e Cisgiordania è ben superiore a quella degli israeliani e ciò potrebbe provocare in breve tempo la nascita di un nuovo conflitto. Così si presuppone che ora Tel Aviv stia riflettendo sulla possibilità di spingere via con la forza i restanti residenti di queste zone, invitandoli a disperdersi nei Paesi vicini. Una possibilità che però metterebbe in pericolo gli Accordi di Abramo tra Israele e i Paesi sunniti, che prevedono la permanenza dei palestinesi nei territori di Gaza e Cisgiordania, governati da un’entità politica autonoma e indipendente.

Israele e Stati Uniti ai ferri corti

Lo Stato ebraico intanto si prepara ad agire su un nuovo ed inaspettato fronte, quello degli Stati Uniti. Il più grande sostenitore e difensore di Israele potrebbe improvvisamente rivoltarglisi contro. Tel Aviv ha intrapreso una guerra di logoramento, andando contro a tutti i suoi precedenti principi e trascinando gli Usa in un conflitto oneroso, a cui ora vorrebbero finalmente porre fine. A Washington, infatti, la pazienza inizia a scarseggiare e di conseguenza scarseggiano anche le armi date in dotazione all’esercito dell’Idf.

Joe Biden, attentato Donald Trump
Joe Biden, presidente Usa

Questa mattina, il presidente americano Joe Biden ha infatti esortato Netanyahu ad “andare avanti” nella direzione di un cessate il fuoco a Gaza, anche in considerazione dell’uccisione di Yahya Sinwar. “Ho maggiori speranze sul cessate il fuoco” ha poi aggiunto il capo del governo Usa, a margine dell’incontro con Emmanuel Macron, Keir Starmer e Olaf Sholz a Berlino, sottolineando che il segretario di Stato americano Anthony Blinken nei prossimi giorni si recherà in visita a Tel Aviv.

Resta poi aperta la possibilità che Israele decida comunque di agire contro l’Iran, per vendicarsi degli attacchi ricevuti, accendendo così il conflitto su un nuovo fronte e condannando il Medio Oriente al proseguimento di un conflitto che continua a provocare migliaia di morti innocenti.

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