Quello che si è svolto in una residenza del governo britannico, poco fuori Londra, doveva essere il primo vertice operativo fra i governi dell’Unione per mettere a punto un piano di pace o, per essere più precisi, un pacchetto di idee per arrivarci e poi per mantenerla. Si è concluso in modo interlocutorio, senza che sia stata ufficializzata alcuna proposta. Sul tavolo, però, è stato messo un piano anglo-francese davvero ambizioso e anche molto impegnativo per le due capitali, le uniche, a quanto è dato di sapere, disponibili a mettere, come si dice in gergo “boots on the ground”, le truppe sul terreno. Si tratta di una proposta, secondo Meloni, altre potranno arrivare a un prossimo vertice previsto a breve.
Il vertice non aveva una scaletta dettagliata, i leader presenti sono intervenuti sulla base di un canovaccio imbastito su due punti fermi: su quale sentiero devono incamminarsi eventuali negoziati e quali dovranno esserne gli attori; in base a quali modalità operative potrà essere garantito il rispetto del futuro accordo di pace e quali potranno essere i soggetti coinvolti nella vigilanza.
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Per quanto ancora vaghi fossero questi punti, il vertice ha confermato le divisioni già emerse nei giorni scorsi, ma ugualmente sorprendenti per la loro radicalità. Proviamo a usare le parole quasi sillabate della premier Meloni la quale, a proposito del possibile vertice Usa-Ue ha spiegato: “Questa è la posizione che l’Italia ha portato avanti dall’inizio, sapete anche che abbiamo proposto, insomma, che ci sia a un certo punto, e lavoreremo per favorire un’opzione di questo tipo, un incontro per parlarci in modo franco di che cosa vogliamo fare e come vogliamo affrontare le sfide che si presentano. Non solo – ha aggiunto – il tema della pace in Ucraina: è un mondo che continua a cambiare, nel quale bisogna condividere gli obiettivi, gli scenari e io penso che lavorando con freddezza, non lasciandosi trascinare dall’emotività e ragionando in modo strategico questa sia assolutamente a portata di mano, è sicuramente quello per cui l’Italia lavora. Dopodiché abbiamo avuto una ampia, franca discussione su come garantire questo obiettivo comune, su come evitare che ci siano delle divisioni all’interno dell’Alleanza Atlantica, dell’Occidente, e mi pare che su questo ci siano anche convergenze. Ci sono varie proposte sul tavolo, penso che chiunque mette sul tavolo una proposta faccia in questo momento una cosa utile”.
Nel lessico della diplomazia, quando un incontro è “franco” sta a significare che fra gli interlocutori sono emersi contrasti anche abbastanza rilevanti. Tante le proposte sul tavolo, ma solo una di queste – più esattamente quella anglo-francese – ha evidentemente il profilo di un piano operativo, almeno sulla carta. Il punto su cui il contrasto è emerso con più vigore è sulla tempistica delle proposte. Per Meloni, non dovrebbero essere formalizzate prima di un confronto, anch’esso franco, fra Unione Europea e Stati Uniti. Posizione, evidentemente, non condivisa da Parigi e Londra propensi, da quel che si può intuire dalle scarne dichiarazioni, a presentare prima un piano europeo e, solo dopo, confrontarsi con l’amministrazione americana.
Non sono sfumature e sarebbe fuorviante considerarle tali. Se Justin Trudeau, il premier canadese a suo modo bullizzato da Trump prima di Zelensky, si è detto pronto a fare “tutto ciò che è necessario” per l’Ucraina una volta raggiunto un accordo, ancora più esplicito è stato il premier spagnolo, il socialista Pedfo Sanchez, ne, ribadire il pieno sostegno all’Ucraina e nel rivendicarne il diritto alla sovranità contro “il neo-imperialismo di Putin”.
Non era un vertice facile per Giorgia Meloni, come ben sapeva. La sua insistenza sulla necessità di non dividere l’Occidente è stata pari alla difesa del ruolo dell’Alleanza atlantica nella vicenda ucraina. Fino al punto da evocare la questione dell’art.5 (la clausola del mutuo soccorso fra alleati Nato nel caso uno di essi subisse un attacco, ndr) e la possibilità di estenderne la validità “anche senza essere nella Nato”. È di tutta evidenza che avendo scelto per sé il ruolo di chi frena contro fughe in avanti (“abbiamo corso un po’ troppo”, ha detto con riferimento al piano anglo-francese) Meloni sì è ritrovata in una posizione laterale rispetto a Parigi e Londra determinati, Macron e Starmer, a scendere sul terreno della sfida aperta a Trump. Più sensibile alla posizione di Meloni è stato Donald Tusk. Il premier polacco, un po’ come tutti i premier dei Paesi ex sovietici (con le ovvie eccezioni di Orbàn e dello slovacco Fico) si è mostrato anche lui attento a non allargare le incomprensioni con gli Stati Uniti e a difendere il ruolo della Nato sulla vicenda ucraina.
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