Mike Johnson rimane speaker della Camera Usa, ma se ne esce provati

Si è dovuto convincere due deputati a “cambiare idea” per riconfermare l’alleato di Trump alla guida della Camera dei deputati, forse un segnale dei problemi a venire

Redazione
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Mike Johnson è stato rieletto speaker della Camera dei deputati al Congresso degli Stati Uniti. Dopo un primo scrutinio intrigato che inizialmente aveva visto il repubblicano della Louisiana mancare di un soffio il quorum in seguito al cosiddetto “role call”, la chiamata individuale di tutti i deputati, in cui non si vota a scrutinio segreto, perché esprimessero la loro scelta, è giunto il colpo di scena.

Infatti, sembrerebbe che due dei tre repubblicani che non avevano sostenuto Johnson in una prima battuta, avrebbero invece cambiato idea in extremis. Come mai? Pare che un uccellino abbia sussurrato all’orecchio dei due “infedeli”, ossia il neoeletto presidente Donald Trump sembra abbia alzato la cornetta ed effettuato una bella telefonata. Si è raggiunto così un conteggio finale di 218 per il prediletto del tycoon, 215 per il candidato dem Hakeem Jeffries e un voto “altro”.

La prova per il tycoon

La rielezione di Johnson rappresentava per il presidente e il partito repubblicano un primo banco di prova nel primo giorno di insediamento del nuovo 119esimo Congresso. Un vero e proprio test sulla capacità del tycoon di tenere insieme le varie fazioni del Grand Old Party in una maggioranza a dir poco fragilissima con 220 seggi contro 215 dei democratici.

Quindi, dopo aver perso Matt Gaetz, dimessosi in seguito al ritiro dalla nomina a ministro della Giustizia per scandali sessuali, e sapendo che un altro deputato alla vigilia della votazione aveva fatto sapere che non intendeva sostenere Johnson, non ci si poteva permettere che venisse meno anche un altro voto dal partito. Soprattutto nel caso in cui i democratici si fossero potuti mostrare unanime e compatti, come poi si è dimostrato.

Quindi, in assoluto non si navigava in acque tranquille anche se lo speaker uscente era ampiamente sostenuto dall’endorsement di Trump e Musk. Motivo per cui, Johnson si era sentito particolarmente fiducioso di farcela al primo colpo e si è quindi serenamente ricandidato. In questo giorno della verità Trump non ha esitato a far sentire la sua vicinanza facendogli “l’in bocca al lupo” su Truth.

Buona fortuna – scrive il presidente – allo speaker Mike Johnson, un uomo in gamba e di grande capacità, che è molto vicino ad avere un sostegno del 100%. Una vittoria per Mike oggi sarà una grande vittoria per il partito repubblicano, e l’ennesimo riconoscimento delle elezioni presidenziali più importanti da 129 anni!! Una grande affermazione per il movimento Maga!“.

Non basta il pensiero

Ma non era bastato ricevere un po’ di fortuna e la debole maggioranza repubblicana nella camera bassa non era di certo sufficiente: Johnson aveva bisogno di avere le spalle coperte da un partito compatto. Ogni desiderio è un ordine e quindi si è effettuata una lunga procedura e si è intrapresa la trattativa con i dissenzienti. In verità, si tratta di dinamiche che hanno trasformato quella che normalmente è una semplice procedura in un “caso” politico da creare lo scandalo dei media. Difatti, questo voto è ora visto come una sorta di anticipazione dei problemi che Trump potrebbe avere in futuro al Congresso nel corso del suo secondo mandato, con una parte degli eletti repubblicani.

Non finisce qui, perché Johnson ora dovrà mettere in conto anche altre due perdite riguardanti Mike Waltz ed Elise Stefanik, che entreranno a far parte della nuova amministrazione rispettivamente come consigliere per la sicurezza nazionale e ambasciatrice all’Onu. Allo stesso tempo necessiterà del sostegno dem per poter approvare i provvedimenti. Si tratta perciò di uno scenario che narra una possibile lenta realizzazione dell’agenda di Trump almeno in un primo momento e che configura ogni singolo deputato in grado di influenzare spropositamente qualsiasi esito.

Un Johnson blindato

In tutto questo, i repubblicani della Camera hanno trovato il modo di blindare il neo rieletto Johnson. Infatti, visto che occorre sempre imparare dalla storia, hanno pensato di aumentare da uno a nove deputati la soglia necessaria per estromettere lo speaker così da evitare il ripetersi di quella rimozione che aveva visto protagonista
Kevin McCarthy durante il precedente mandato. Un drammatico scenario che aveva affondato la Camera facendola annegare in un mare di incertezze per intere settimane con una spiacevole perdita di controllo repubblicana di 22 giorni.

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