A 48 ore dall’interruzione della tregua tra Israele e Gaza, i raid dell’Idf hanno ucciso quasi mille persone. E’ questo il bilancio riportato da Hamas, che parla di un totale di 970 vittime. “Questo è solo l’inizio, d’ora in poi i negoziati con Hamas solo sotto le bombe“; così il premier Netanyahu, che accusa il governo palestinese di non voler rilasciare gli ostaggi e di aver respinto le proposte di negoziati offerte dai Paesi mediatori.
“Non smetteremo di combattere finché tutti gli ostaggi non saranno tornati a casa e tutti gli obiettivi di guerra non saranno stati raggiunti“, ha affermato il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz. I violenti bombardamenti, che hanno colpito senza preavviso la striscia da nord a sud, si sono abbattuti su scuole, campi profughi e rifugi per sfollati, facendo salire quasi a 50 mila il numero totale di morti fra i palestinesi dall’inizio del conflitto.
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La situazione nella Striscia al momento è drammatica, come riassume la testimonianza di Mohammad Qishta di Medici Senza Frontiere : “Il pronto soccorso è in condizioni disastrose. Abbiamo corpi e parti di corpi, per lo più bambini e donne. C’è molta confusione nella popolazione. Alcuni sono corsi in ospedale solo per proteggersi. Noi medici abbiamo pianto per l’intensità e la difficoltà della situazione. Ci sono alcuni casi gravi: ustioni, amputazioni, ferite alla testa, ferite al petto“.
Israel Katz ha scaricato su Hamas la colpa delle violente azioni di Tel Aviv su Gaza, sostenendo che il governo palestinese “avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, ma invece ha scelto la guerra”. Per contro, Taher al-Nounou, uno dei leader del movimento, ha dichiarato all’agenzia di stampa Afp che “Hamas non ha chiuso la porta ai negoziati“, ma insiste sul fatto che “non c’è bisogno di nuovi accordi”. Israele, continua al-Nounou, dev’essere “costretto a cessare immediatamente le ostilità e ad avviare la seconda fase dei negoziati“.
Folla di manifestanti davanti casa di Netanyahu
Migliaia di persone intanto si sono riversate nelle strade, in protesta contro il governo Netanyahu. I manifestanti sono scesi in piazza, a Tel Aviv prima e a Gerusalemme poi, per condannare la ripresa delle ostilità con Gaza, che rallenterà ulteriormente il ritorno degli ostaggi. La leader della protesta Shikma Bressler ha dichiarato: “La follia deve finire prima che non ci sia più nessuno da salvare, prima che non ci sia più un Paese“.
A fomentare la protesta antigovernativa, in secondo luogo, la decisione del primo ministro di destituire il capo dei servizi di intelligence Shin Bet, Ronen Bar. Quest’ultimo non avrebbe ottemperato ai suoi compiti mettendo a repentaglio la sicurezza nazionale.
Le agitazioni sono rapidamente degenerate, con scontri e arresti, quando la folla in protesta si è diretta verso la residenza privata di Netanyahu. Le immagini riportate dai media israeliani mostrano la polizia intenta a fermare i manifestanti che si sono scagliati contro le barriere nel tentativo di sfondarle. Sempre nei pressi della residenza del capo del governo, un altro gruppo di manifestanti ha bloccato lo snodo di Paris Square, sedendosi sull’asfalto in segno di protesta.
Gaza, colpita residenza Onu: ucciso un membro del personale straniero
I raid sulla Striscia hanno colpito anche la residenza Onu presso Deir el-Balah, dove è stato ucciso uno dei membri del personale straniero che lavorava per le organizzazioni delle Nazioni Unite. L’operatore, da quanto si evince da un comunicato pubblicato su Telegram, è morto dopo essere stato portato all’ospedale dei martiri di Al-Aqsa. Nell’attacco sono rimaste ferite almeno altre cinque persone.
Jorge Moreira da Silva, segretario generale dell’Ufficio dell’Onu per i servizi ai progetti, ha sottolineato che l’attacco “non può essere classificato come un incidente“. Il riferimento di Moreira da Silva è all’attacco di lunedì scorso, in cui la struttura era stata “quasi colpita“. In quell’occasione le Nazioni Unite avevano contattato le autorità israeliane per riconfermare che l’edificio era “protetto dalle operazioni militari“. “La struttura era ben nota all’esercito israeliano ed era protetta dal conflitto”. “Ciò significa”, prosegue Moreira da Silva, “che tutti sapevano che chiunque lavorasse al suo interno era personale delle Nazioni Unite“
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