Negli ultimi giorni, un caso di presunta fuga di informazioni riservate ha scosso l’ufficio del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, culminando nell’arresto di Eliezer Feldstein, portavoce del premier. Feldstein è stato arrestato e interrogato dallo Shin Bet, l’agenzia di sicurezza interna israeliana, con l’accusa di aver diffuso notizie confidenziali a media internazionali, tra cui il giornale tedesco Bild e il britannico Jewish Chronicle. Le informazioni trapelate miravano, secondo le accuse, a sostenere Netanyahu nelle delicate fasi di stallo dei negoziati per il cessate il fuoco a Gaza.
Inizialmente, quattro persone erano state arrestate, ma una è stata già rilasciata. Il nome di Feldstein è stato reso pubblico dopo che un tribunale di Rishon LeZion ha parzialmente revocato il bavaglio sulle informazioni riguardanti il caso. “La fuga di notizie potrebbe aver compromesso la capacità delle agenzie di sicurezza di portare a termine la liberazione degli ostaggi”, ha affermato il giudice in una dichiarazione riportata dai media israeliani. La corte ha inoltre confermato che le indagini sono state innescate da un “sospetto significativo” sollevato dallo Shin Bet e dall’IDF (Forze di Difesa Israeliane) dopo che alcuni articoli sulla stampa indicavano l’esistenza di fughe di informazioni sensibili provenienti dai sistemi militari.
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Tra le notizie trapelate, un articolo apparso sul Jewish Chronicle sosteneva che Hamas avesse pianificato il trasferimento di ostaggi fuori da Gaza attraverso l’Egitto. Questa informazione è stata successivamente smentita e l’articolo ritirato, suscitando un’ondata di critiche che ha portato alle dimissioni di alcuni editorialisti del giornale londinese. Nel frattempo, Bild ha pubblicato un reportage che accusava Hamas di utilizzare i negoziati come strategia di guerra psicologica contro Israele, un’interpretazione che si allineava con la posizione del premier israeliano, impegnato a richiedere un controllo duraturo del corridoio di Filadelfia lungo il confine tra Gaza e l’Egitto.
I media israeliani e vari osservatori hanno accolto con scetticismo i contenuti dei reportage, notando come questi sembrassero indirettamente avvalorare le posizioni di Netanyahu e distoglierlo dalle responsabilità nel fallimento dei colloqui. Gli articoli, pubblicati in un momento di forte tensione interna, sono apparsi come una sorta di “copertura politica” a sostegno del premier, che in quel periodo affrontava severe critiche da parte delle famiglie degli ostaggi e dell’opinione pubblica israeliana, particolarmente risentita dopo la notizia dell’uccisione di sei rapiti nella Striscia di Gaza.
Un documento giudiziario ha confermato il rischio di danno per la sicurezza nazionale derivante da queste fughe di notizie, evidenziando che il caso potrebbe ostacolare il raggiungimento degli obiettivi della guerra nella Striscia di Gaza. Tuttavia, nonostante la revoca parziale dell’ordine restrittivo, la corte ha ritenuto che la pubblicazione completa dei dettagli dell’indagine potrebbe comprometterne il buon esito, come riportato dal Times of Israel.
In risposta alle accuse, Netanyahu ha negato ogni coinvolgimento del proprio ufficio, minimizzando la gravità della situazione e chiedendo pubblicamente la revoca del bavaglio sulle informazioni. L’arresto di Feldstein e la fuga di notizie, tuttavia, hanno causato un vero e proprio scandalo che ha avuto ripercussioni anche fuori dai confini israeliani: il Jewish Chronicle è finito al centro di polemiche, con diversi giornalisti che hanno abbandonato il giornale in segno di protesta. Dal canto suo, Bild ha difeso il proprio operato, sostenendo che l’articolo pubblicato ha semplicemente rivelato le tattiche psicologiche impiegate da Hamas.
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