Sentenza storica: Ue annulla i benefici fiscali di Apple, 13 miliardi da restituire

L'Unione europea continua la sua battaglia contro il predominio Apple, nella speranza di riportare l'azienda di Cupertino all'interno delle regolamentazioni Ue, affinché il mercato interno della comunità sia protetto. La società statunitense dovrà risarcire miliardi di euro di tasse non pagate nel periodo tra il 1991 e il 2014

Redazione
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La decisione di oggi è una grande vittoria per i cittadini europei e per la giustizia fiscale” ha dichiarato la vicepresidente della Commissione europea con delega alla concorrenza Margrethe Vestager, commentando l’annullamento della sentenza del Tribunale della Corte Ue sulle regole fiscali adottate da Dublino a favore di Apple. Una sentenza epocale, che giunge a poche ore di distanza dalla presentazione dei nuovi modelli di smartphone dell’azienda della Silicon Valley, tra i maggiori produttori ed esportatori di strumenti tecnologici al mondo.

Margrthe Vestager
Margrthe Vestager, vicepresidente della Commissione europea con delega alla concorrenza

La decisione della Corte fa riferimento al periodo che va dal 1991 al 2014, ovvero il lasso di tempo in cui l’industria fondata da Steve Jobs ha usufruito di 13 miliardi di euro giunti come aiuti di Stato da parte dell’Irlanda. Concessioni indebite, secondo la Corte Ue, che non avrebbero rispettato le regolamentazioni europee, divenendo quindi degli aiuti illegali che dovranno essere restituiti. L’Irlanda ha sostenuto di essere pronta a “rispettare la sentenza” della Corte Ue e quindi ad impegnarsi affinché vengano recuperate le tasse non incassate dagli aiuti di Stato illegali.

Apple, la ricostruzione del caso

La sentenza della Corte Ue ha dichiarato illegale i pagamenti dello Stato irlandese nei confronti di Apple, poiché questi non avrebbero rispettato le regolamentazioni internazionali. Le società del gruppo AppleApple Sales International e Apple Operations Europe – erano state infatti costituite come società di diritto irlandese, anche se queste non erano fisicamente residenti in Irlanda. In questo modo, i metodi utilizzati dall’azienda per determinare gli utili imponibili delle succursali in Irlanda erano approvati dallo Stato irlandese.

Una prima sentenza della Commissione Ue, risalente al 2016, aveva ritenuto che, in quanto le sedi della Apple non erano presenti in Irlanda, allora la gestione di tali licenze dipendeva da decisioni adottate a livello della sede dell’azienda negli Usa. Quindi, gli aiuti di Stato irlandesi percepiti da Apple dal 1991 al 2014 sono stati definiti illegali e incompatibili con il mercato interno.

Questa stessa sentenza è stata quindi confermata dalla Corte Ue, con la conferma che l’Irlanda dovrà ora procedere al recupero dei ruling fiscali applicati nei tredici anni. Questi aiuti, infatti, avrebbero permesso all’azienda di Cupertino di ridurre sensibilmente il carico di tasse da pagare, tanto che nel 2014 erano giunte a toccare la quota dello 0,0005%. Apple ha espresso delusione per la sentenza della Corte, sostenendo che l’Unione europea stia tentando di “cambiare retroattivamente le regole, ignorando che, come richiesto dal diritto fiscale internazionale, il nostro reddito era già soggetto a tasse negli Stati Uniti“.

L’inizio della fine del predominio Apple

In un periodo storico in cui la tecnologia compie passi da giganti, le potenze mondiali devono confrontarsi con un mondo in rapida crescita che rischia di divenire incontrollabile. L’Unione europea deve proteggere la competitività e il mercato interno dai rischi che giungono da Usa e Cina ma anche da individui privati che usufruiscono di ingenti finanziamenti. Apple è ormai bersagliata dai processi dell’Ue, impegnata a porre un freno al predominio dell’azienda che spesso sconfina dai suoi diritti, ponendo in difficoltà i concorrenti del settore.

Di fronte a tali illeciti, l’Ue non ha intenzione di rimanere immobile. Le grandi aziende, quindi, sono nel mirino della Commissione Ue, affinché i procedimenti da loro seguiti all’interno dei Paesi membri siano conformi ai regolamenti della concorrenza interna dell’Unione. Segnali forti che dimostrano alle multinazionali che non sempre è tutto permesso, soprattutto all’interno dell’Ue.

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