Un vendita di quasi 19 miliardi, che potrebbero diventare 22. Ieri il Consiglio di amministrazione del gruppo telefonico Tim ha infatti deciso, insieme al ministero dell’Economia e F2i, di vendere il gruppo di telecomunicazioni al fondo americano Kkr. La vendita per ora si aggira sui 18,8 miliardi ma ci sono in ballo altri 3 miliardi che verranno aggiunti alla somma in seguito al raggiungimento di determinate condizioni.
I primi soci azionisti, i francesi di Vivendi, non sono soddisfatti dell’accordo e contrastano la vendita per motivi di valutazione, ovvero a partire dall’offerta iniziale di 31 miliardi non è possibile aver accettato solo 22 miliardi.
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Bolloré e il tentativo di fermare la vendita
La rabbia dei francesi non si stempera, e oggi, 7 novembre, arriva la conferma del ricorso che verrà presentato in settimana, che ha come obiettivo la sospensione sulla base dell’articolo 2388 del Codice civile che regola la validità delle delibere.
I francesi, però, capitanati da Yannick Bolloré, presidente del gruppo Vivendi, dovranno fare i conti col coinvolgimento diretto del governo italiano. Giorgetti ha infatti ribadito che il progetto di rinascita della rete Tim non cambia e quindi il gruppo di Bolloré deve preparare un piano B, per tenersi aperte diverse opzioni.
Tim, come siamo arrivati a questo punto?
La società di telecomunicazioni oggi conosciuta come Tim, nasce nel 1933 col nome di Stet e prende il nome Tim tra il 1994 e il 1997 dopo la fusione della Sip con la Stet dell’Iri. Diventa in breve tempo la quarta azienda in Italia per fatturato e la prima per valore aggiunto. Nessun debito, solo ingenti guadagni. Da punta di diamante delle aziende di comunicazioni, negli ultimi trent’anni inizia a subire i contraccolpi di una gestione inadatta da parte di una classe dirigente e politica che non si è più interessata al suo successo.
Trent’anni fa, infatti, arriva la prima privatizzazione, gestita politicamente dal ministro dell’economia dell’epoca, Carlo Azeglio Ciampi e tecnicamente dal dg del tesoro Mario Draghi. La Tim viene venduta nella sua interezza 26 mila miliardi di lire e viene mantenuto solo un piccolo nucleo di azionisti italiani. Dopo circa un anno e mezzo, prendono il controllo di Tim Roberto Colaninno, Enrico Gnutti e altri, grazie ad una serie di leve finanziarie: Tim è controllata da Bell (una finanziaria estera), che controlla Olivetti che a sua volta controlla Tim.
Tutto questo sembra funzionare, finché non torna al governo Silvio Berlusconi, che grazie a Marco Tronchetti Povera di Pirelli, si garantisce Tim. Tronchetti, infatti, si prende Bell strapagando le azioni e facendo aumentare il debito. Tutti gli altri azionisti a questo punto devono investire di più per garantirsi una fetta di guadagno e intanto l’azienda affonda, perché tutti gli utili vengono utilizzati dai soci azionari per ripagare i loro debiti. Un meraviglioso cerchio senza fine che anno dopo anno continua ad affossare un’azienda dal valore inestimabile.
Tim, la vendita a Kkr
La situazione dell’azienda era divenuta, quindi, troppo complessa e ormai troppo grave, per cui il Cda ha deciso che era arrivato il momento di vendere, anche senza l’approvazione di una assemblea straordinaria dei soci. Pezzo dopo pezzo, la Tim verrà indebolita dal suo smembramento e non sarà più in grado di tenere i suoi dipendenti e i suoi soci azionari.
Questi con gli anni a causa dei debiti sono cambiati numerose volte e tali cambiamenti sono costati all’azienda dai 70 agli 80 miliardi. Per questo, oggi, si è deciso di vendere per soli 22 miliardi a Kkr, che in questo modo ripagherà metà del debito dell’azienda. Di Tim resterà solo ServiceCo, un’azienda troppo debole per avere futuro.
Tim, la rabbia di Vivendi
Vivendi ha però promesso ripercussioni legali per la decisione del Cda di Tim, che evitando una riunione dei soci ha “privato ciascun socio del diritto di esprimere il proprio parere in assemblea, nonché del connesso diritto di recesso per i soci dissenzienti“, secondo le parole dei soci francesi.
Tale vendita, infatti, non permetterà agli azionisti di coprire i debiti ottenuti durante le collaborazioni con l’azienda ormai non più italiana. La mancata assemblea con i soci, secondo Vivendi, rende la transazione non valida per questo “utilizzerà ogni strumento legale a sua disposizione per contestare questa decisione e tutelare i suoi diritti e quelli di tutti gli azionisti“.
Secondo l’Ad di Tim, invece, questa e “una decisione storica che permetterà di dare il via alla nascita di due società con nuove prospettive di sviluppo“, perché permetterà di ridurre l’indebitamento di 14 miliardi e di beneficiare di una struttura di capitale solida.
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