S&P alza il rating dell’Italia a BBB+. Panetta non si stupisce: “La valutazione potrebbe migliorare”

L'agenzia di rating promuove il Paese, migliorando il giudizio sull'Italia, dove "giova il governo saldo". Bankitalia invece avverte che dazi e spese per la difesa rischiano di abbattere la crescita, ma assicura che "le imprese sapranno mitigare"

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Standard & Poor’s promuove il rating dell’Italia portandolo da “BBB” a “BBB+” con outlook stabile, senza quindi prevedere cambiamenti. Un voto che premia, spiega l’agenzia di rating, la stabilità politica e dei mercati. E se la crescita si fermerà allo 0,6% quest’anno il rapporto debito-Pil si stabilizzerà poi a partire dal 2028. “Le nostre previsioni economiche – spiega S&P ottimista – si basano sull’ipotesi che i dazi di base degli USA sui beni dell’Ue restino al 10%“, anziché al 20% come programmato.

Questa visione implicherebbe che “l’impatto sull’economia dell’Italia sarà gestibile, parzialmente attenuato dall’accelerazione degli investimenti pubblici e dagli stimoli di bilancio tedeschi“. L’Agenzia ha sottolineato come il governo della premier Giorgia Meloni, “fra i più longevi della recente storia italiana, gode di un solido sostegno pubblico“, oltre a beneficiare della stabilità della maggioranza parlamentare di “limitate minacce di opposizione“, renderebbe probabile la sua permanenza al potere fino al 2027. Una continuità politica che “ha contribuito a preservare la stabilità dei mercati finanziari e sostenere progressi costanti“.

Giorgetti: “Il rating gratifica la serietà del Governo”

Il giudizio di S&P sull’Italia ha soddisfatto anche il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che sottolinea come il rating “premia la serietà dell’approccio del governo italiano alla politica di bilancio“, aggiungendo che in questo clima generale di incertezza diffusa, “prudenza e responsabilità continueranno a essere la nostra linea di azione“.

Il voto dell’Agenzia, nello specifico, ha gratificato “le esportazioni resilienti e l’alto tasso di risparmio interno” che hanno permesso all’Italia di “rafforzare la propria posizione di creditore netto estero negli ultimi 5 anni, raggiungendo una stima pari al 15% del Pil, rispetto al quasi pareggio nel periodo pre-pandemia“.

Il rating giunge in seguito ai calcoli del nuovo Documento di Finanza Pubblica improntati alla cautela, considerando che il 2025 parte con una crescita dell’economia stimata al +0,25%. Un passo lento orientato a raggiungere il +0,6% a fine anno. Ma lo scenario è dominato da forti “rischi al ribasso” e da una elevata e crescente “incertezza è l’avvertimento che accompagna ormai qualsiasi previsione ufficiale“.

Il rating potrebbe essere difatti abbassato “se lo shock commerciale derivante dai dazi statunitensi compromettesse significativamente la fiducia di consumatori e imprese, nonché la posizione di bilancio e della bilancia dei pagamenti dell’Italia“. Al contrario, potrebbe vedersi migliorato “se l’Italia riuscisse a ridurre ulteriormente il proprio deficit di bilancio, ponendo il rapporto debito/Pil su un solido percorso discendente, o se la crescita potenziale dell’economia superasse stabilmente l’1% grazie a riforme strutturali“.

Le prospettive economiche “appaiono più incerte e complesse” e la necessità di rispondere ai nuovi temi della sicurezza e dei dazi pongono di conseguenza “sfide complesse“, avverte però il ministro Giorgetti, confermando così la linea della prudenza: il governo “risponderà salvaguardando la disciplina di bilancio. A partire dal fatto che le simulazioni comprendono che l’effetto dei dazi potrebbe ridurre il Pil 2025 al +0,3%, nel concreto dimezzandolo rispetto alla stima attuale del +0,6%“.

Panetta: “Mi aspettavo il rialzo”

Aveva lanciato l’amo tre mesi fa in occasione del Forex a Torino e la pesca di Fabio Panetta è stata abbondante. Il governatore della Banca d’Italia apprendendo la decisione di S&P di rialzare il rating dell’Italia riconosce di aspettarsi il voto positivo dell’Agenzia. Ricordando difatti quanto “detto esplicitamente” a Torino, Panetta non si stupisce in quanto “le condizioni dell’economia italiana sono cambiate, è cambiato il modo di condurre i conti pubblici che sono stati gestiti con ragionevolezza“. A differenza, dunque, di come i conti veniva trattati erroneamente come “una variabile indipendente“, mentre ora sarebbe stata posta attenzione nel “coniugare esigenze dell’economia con la necessità di contenere il debito elevato quindi migliorano le condizioni della finanza pubblica“.

Infatti, intervenendo all’anteprima del Festival dell’economia a Trento, il già Direttore generale della Banca d’Italia ha spiegato come rispetto a 15 anni fa, “quando ci fu il peggioramento delle valutazioni delle agenzie, sono migliorate le condizioni del sistema bancario, che allora erano deboli e in sofferenza“. Un altro elemento che avrebbe portato ad un giudizio positivo da parte di S&P, è il fatto che l’Italia ora ricopre un ruolo da “creditore nei confronti del Paesi esteri”, quindi, secondo Panetta, non solo non stupisce ma “potrebbe ancora migliorare il rating“.

Bankitalia cauta ma positiva

Si tratterebbe di uno scenario che, secondo il Bollettino economico di Bankitalia, rischierebbe di essere stravolto dai dazi stessi e dalle spese per la difesa. L’Istituto di via Nazionale puntualizza che tale scenario include solo “una prima e parziale valutazione degli effetti dei dazi” e che “potrebbe risentire in modo particolarmente pronunciato di eventuali misure ritorsive, ulteriori aumenti dell’incertezza e di tensioni prolungate sui mercati finanziari“.

Allo stesso tempo però si ritiene che le imprese riusciranno a mitigare i danni proprio grazie ad alcune loro caratteristiche, ad esempio l’esportazione di prodotti di alta qualità e difficilmente sostituibili. E ii tre quarti delle imprese stesse presentano margini a sufficienza per assorbire i rincari.

Il problema che in verità sussisterebbe riguarda l’Europa, che per ora non sembra abbia intenzione di attivare la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità in quanto non è ancora possibile misurare la recessione indotta dalle tariffe imposte dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. E in questo scenario dove il campo d’azione risulta essere ridotto, l’ex Def, fissa le nuove stime e conferma l’impegno del governo a rafforzare le politiche per la famiglia.

Dal documento inoltre emergono altri dati su cui porre l’attenzione come il flop di Transizione 5.0, sviluppato per le imprese, abbia erogato appena 500 milioni, lasciando intatti altri 5,7 miliardi da concedere entro il secondo trimestre 2026, oltre al concordato fiscale per le partite Iva. Il Dfp è arrivato alle Camere, che lo devono esaminare prima dell’invio, entro fine mese, a Bruxelles.

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