Anche l’esecutivo Meloni pensa in grande sulle privatizzazioni. Per bocca del suo ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti, pone sul tavolo “un programma ambizioso” e si toglie qualche “sfizio”.
“Un programma – precisa il titolare di via XX settembre in sede di conferenza stampa sulla manovra – che fa riferimento a grandi aggregati e che richiedono procedure complicate o molto tempo”. “Penso nel 2024 di poter finalmente incassare quelle ridotte disponibilità che dovrebbero derivarmi dalla privatizzazione di ITA”, aggiunge. “Privatizzazione che noi abbiamo fatto e che costituirebbe un risultato storico rispetto a trent’anni di vane discussioni mediatiche”.
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Lo scenario prescritto nella Nadef: +1% del Pil nel 2024-26
Esattamente come avviene da un trentennio, quando allo Stato servono miliardi per arginare il debito pubblico, il governo di turno ripesca il jolly delle privatizzazioni. L’esecutivo di destra ha lanciato la sua mano nella Nadef, in modo inatteso data l’inerzia del primo anno e l’entità delle cifre. “Per garantire sostenibilità al debito – vi si legge – e coerentemente con una gestione più dinamica delle partecipate pubbliche, il nuovo scenario programmatico prevede proventi da dismissioni pari ad almeno l’1% del Pil nel 2024-2026 (pari a 20-22 miliardi di incasso, ndr)”.
Per un raffronto si pensi che tra il 1994 e il 2010, con le privatizzazioni massicce con cui l’Italia rispettò i parametri di Maastricht entrando nell’euro, furono incassati 97 miliardi. Altri 13 miliardi sono stati raccolti nel 2011-2016, e pochi spiccioli da allora, anche per la pandemia e poi la guerra, che hanno annichilito vari auspici.
Liberalizzare è di destra, privatizzare è di sinistra?
A fasi alterne, liberalizzazioni e privatizzazioni costituiscono gli ingredienti fondamentali per promuovere un’uscita da fasi di recessione. A determinare la scelta di una o dell’altra direzione, o della loro combinazione, sono cause molteplici. Fra queste, occorre ricordare la partisanship che i governi attuano. I più recenti dati disponibili che consentono una visione-quadro e un’adeguata comparazione internazionale sono quelli forniti dall’OCSE, i quali registrano una specializzazione dei governi di destra alla privatizzazione e dei governi di sinistra alla liberalizzazione. I governi di centrodestra nell’ultimo trentennio hanno condotto con una media del 3,6% in più processi di privatizzazione nei settori delle telecomunicazioni, dell’energia, delle ferrovie, del trasporto aereo e del gas rispetto ai governi di centrosinistra.
Privatizzazione: una storia italiana?
Se altrove, dunque, che un governo di destra privatizzi non faccia notizia, in Italia sì. La storia italiana è fatta di privatizzazioni annunciate, ma mai effettuate. Sono di Amato e poi di Prodi nel 1996-1998 le privatizzazioni di cui gli archivi del Mef immagazzinano memoria. Di Berlusconi si ricorda l’Alitalia ceduta ai “capitani coraggiosi”.
In Italia, la stagione delle privatizzazioni ha, infatti, conosciuto un unico grande picco a partire dagli anni Novanta e a cavallo dell’inizio del secolo, con la vendita delle grandi banche di Stato, Credit e Comit, e le grandi holding, quali Iri ed Efim.
Venendo al passato recente, nel 2019, il governo Conte I, nello strambo asse M5s-Lega, stimava vendite di Stato per l’1% di Pil, più lo 0,3% nel 2020, ma non ne fece alcuna. Prima, il governo Renzi aveva ceduto pacchetti di Enel e Poste, pur senza centrare i propri obiettivi in materia. E prima ancora il governo Monti aveva fallito l’obiettivo di 10 miliardi nell’anno dalle sue dismissioni.
Privatizzazioni, l’illusione o la strategia
Tornando all’oggi, al Ministero dell’Economia tira aria di fantasie velleitarie e illusorie o vi è una strategia pianificata? In Parlamento, solo pochi giorni fa, il ministro precisava: “Le operazioni saranno coerenti con i profili di strategicità e interesse nazionale, efficientamento, ottimizzazione del profilo di mercato e razionalizzazione delle strutture di partecipazione e controllo”.
Quella di Ita è già confezionata, con il piccolo ostacolo della Commissione europea che esprime perplessità al trattamento latamente persecutorio riservato a Ryanair e ai suoi prezzi e, parallelamente, al restringimento della concorrenza con Lufthansa vendendole Ita e formando in diverse rotte qualcosa di simile a un monopolio. “È in corso di discussione la pre-notifica europea e penso che entro fine ottobre la notifica potrà essere depositata”, assicura Giorgetti. “Molte persone l’hanno dimenticato, ma il prossimo anno potrebbe essere l’anno di questa prima privatizzazione”.
La disamina di Modiano e Onado: cosa resta delle privatizzazioni
Sul tema, offre una disamina impietosa del declino economico nazionale e utili riflessioni sul tema il saggio Illusioni perdute per Il Mulino, del banchiere di lungo corso Pietro Modiano e dell’economista Marco Onado. La natura ondivaga delle privatizzazioni, affermano i due autori, non dovrebbe condurre a nostalgici istinti statalisti, ma spingere la classe dirigente a un esame di coscienza. “Persiste un circolo vizioso fra comportamenti della classe dirigente, sistemi di potere impropri e pezzi della società civile, nocivo per la democrazia e lo sviluppo”, questo il core del saggio.
Passare dalle cifre teoriche alle cifre effettive è sicuramente complesso. E adoperare un semplice confronto fra oggi e la stagione del presidente dell’Iri rispolverando l’esaltazione di quel tempo è quantomeno antistorico e disossato dei relativi contesti socio-politici. L’unica via è il pragmatismo finanziario e qualche idea politica nell’Italia e del mercato dai mille particolarismi.
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