Pensioni minime, possibile aumento a 621 euro: le ipotesi sul tavolo del Mef

Questo rialzo dovrebbe costare alle casse dello Stato circa 379 milioni di euro e visti i margini stretti della prossima manovra è ancora al vaglio del ministero dell'Economia

Redazione
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Il tema delle pensioni minime continua ad agitare il governo. La Legge di Bilancio sta pian piano prendendo forma, con tutte le difficoltà del caso, ed ora il governo deve prendere una decisione. Sembrerebbe che al momento il Ministero dell’Economia stia prendendo in considerazione l’ipotesi di aumentare le pensioni minime oltre l’importo di 621 euro. Una riposta alle richieste del centrodestra, in particolare di Forza Italia, che da mesi chiede una revisione dei livelli pensionistici.

Al momento non vi è ancora nulla dicerto ma sul tavolo del Ministero sarebbero aperti diversi dossier, che potrebbero portare a modifiche degli assegni pensionistici. L’ipotesi principale vedrebbe il governo intenzionato a confermare l’intervento del 2023-24 che avrebbe fatto arrivare le pensioni minime a 614,77 euro, aggiungendo ulteriori fondi così da accrescere ancora di più l’importo delle pensioni. Una sorta di minibonus che potrebbero però migliorare il tenore di vita di coloro a cui è rivolto.

Si ragiona, poi, sulla possibilità per i lavoratori pubblici che hanno compiuto 65 anni e hanno 42 anni e 10 mesi di contributi e che hanno quindi la possibilità di andare in pensione anticipata (41 e 10 per le donne)  di restare al lavoro, su base volontaria, senza che l’amministrazione prenda la decisione per loro.

Le ipotesi sulle pensioni minime al vaglio del governo

Il governo Meloni si trova a dover decidere se rinnovare o meno l’aumento delle pensioni minime deciso nel 2023 ed ora in scadenza. Sembrerebbe, secondo Ansa, che l’esecutivo sia intenzionato anche ad aumentare gli importi degli assegni minimi, per far fronte al rialzo dell’inflazione nel Paese. Questo rialzo dovrebbe costare alle casse dello Stato circa 379 milioni di euro e visti i margini stretti della prossima manovra è ancora al vaglio del ministero dell’Economia.

Oltre a questa decisione, sembrerebbe che il governo stia valutando di riconfermare le regole per le uscite dal lavoro, ovvero l’Opzione donna, l’Ape sociale e la Quota 103, che prevede 62 anni di età e 41 anni di contributi per il lavoratore. Una delle misure che più fa discutere, però riguarda l’attribuzione del Tfr (Trattamento di fine rapporto), per cui si starebbe valutando un nuovo semestre di silenzio assenso per il suo conferimento alla previdenza integrativa. Questo significherebbe che in caso di assenza di una comunicazione anticipata, il Tfr dei nuovi assunti o dei già occupati potrebbe essere inserito nel fondo di previdenza della categoria.

Nuovi incentivi per invitare alla pensione anticipata

Il Ministero starebbe ragionando anche su nuove possibili soluzioni per rendere più appetibile il pensionamento anticipato dei lavoratori. Il Bonus Maroni, che prevede la pensione in anticipo con in busta paga la propria quota di contributi, non è stata utilizzata dal numero di persone che il governo si sarebbe aspettato. Ora, quindi, si cercano nuove metodologie per spingere i cittadini a richiederla.

Si sta valutando, infatti, la possibilità di esenzioni fiscali sui contributi o di una riduzione della tassazione, già prevista per gli aumenti previsti dai contratti di secondo livello. Inoltre, si starebbe riflettendo sul mantenimento di una pensione piena per chi decide di continuare a lavorare pur avendo la possibilità di andare in pensione, considerando per la parte in busta paga una contribuzione figurativa. Tale riforma potrebbe essere estesa anche a chi ha i requisiti per la Quota 103.

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