Istat, sempre più famiglie a rischio povertà

Secondo i dati Istat, le condizioni di vita della popolazione rimangono invariate rispetto al 2023. Il rischio di basso reddito è più alto per le donne, i giovani sotto i 35 anni, gli stranieri e chi ha un livello di istruzione più basso

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Secondo l’Istat, le condizioni di vita nel 2024 rimangono sostanzialmente invariate rispetto al 2023. Un valore che risulta più alto, toccando il 23,1% della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale. Questo indicatore comprende circa 13,5 milioni di persone che si trovano in almeno una di queste condizioni: vivere in famiglie a rischio povertà, grave deprivazione materiale e sociale e bassa intensità di lavoro.

Più nel dettaglio, il 18,9% della popolazione è a rischio povertà, mentre il 4,6% vive in gravi difficoltà economiche. Inoltre, il 9,2% delle persone vive in famiglie con bassa intensità di lavoro, con un aumento tra giovani e famiglie monogenitoriali. A livello territoriale, il Nord-est ha la percentuale più bassa di povertà, mentre il Mezzogiorno registra valori più alti.

Un dato preoccupante riguarda le famiglie numerose. Il 33,5% delle famiglie con cinque o più membri è a rischio povertà, mentre il 34,8% delle coppie con almeno tre figli vive in condizioni di rischio elevato. Le famiglie monogenitoriali sono particolarmente vulnerabili, con un rischio del 32,1%, che spesso dipende dalla bassa intensità lavorativa.

Al contrario, il rischio è inferiore per le coppie con uno o due figli, con una percentuale di rischio che si attesta intorno al 19%, ben al di sotto della media nazionale. Tra gli anziani che vivono soli, il rischio sale al 29,5%, e per chi dipende da pensioni o trasferimenti pubblici, il rischio di povertà arriva al 33,1%. I lavoratori dipendenti, invece, presentano un rischio decisamente inferiore, pari al 14,8%. Cala il rischio invece per le famiglie con almeno un membro straniero (37,5%) e aumenta leggermente per le famiglie solo italiane (21,2%).

Cos’è la deprivazione materiale e sociale

La deprivazione materiale e sociale è un indicatore che misura la difficoltà di accesso a beni e servizi essenziali, come la possibilità di affrontare spese impreviste, di andare in vacanza, di non essere in arretrato con i pagamenti, o di riscaldare adeguatamente la casa. A livello individuale, include difficoltà come non poter acquistare vestiti nuovi o partecipare a attività sociali e di svago.

Si riducono i redditi familiari netti in termini reali

Nel 2023, il reddito medio delle famiglie italiane è stato di 37.511 euro annui (circa 3.125 euro al mese), con un incremento nominale del 4,2% rispetto al 2022. A causa dell’inflazione, i redditi reali sono calati dell’1,6% per il secondo anno consecutivo. La metà delle famiglie italiane guadagna meno di 30.039 euro annui, e questa riduzione è stata più marcata nel Nord-est (-4,6%) e nel Centro (-2,7%), mentre nel Mezzogiorno il calo è stato più contenuto (-0,6%).

Rispetto al periodo pre-crisi del 2007, i redditi reali sono diminuiti mediamente dell’8,7%, con le famiglie autonome e dipendenti che hanno registrato le flessioni più significative.

Istat, disuguaglianza nella distribuzione dei redditi

Nel 2023, la disuguaglianza nei redditi in Italia è misurata con un rapporto che confronta i redditi del 20% degli individui più ricchi con quelli del 20% più povero. Senza considerare gli affitti figurativi, il valore è 5,5, in leggero peggioramento rispetto al 2022 (5,3), ma sotto il livello pre-pandemia del 2019 (5,7).

Se si includono gli affitti figurativi, il rapporto scende a 4,8. Il Nord-ovest ha la disuguaglianza più bassa (4,4), mentre il Mezzogiorno ha il valore più alto (5). Il reddito medio familiare con affitti figurativi è più alto nel Nord-ovest (47.429 euro) e più basso nel Mezzogiorno (34.972 euro).

L’indice di concentrazione di Gini, che misura la disuguaglianza, è 0,323, in peggioramento rispetto al 2022 (0,315). Il Sud e le Isole hanno il valore più alto (0,339), mentre il Nord-est il più basso (0,276). Tra il 2022 e il 2023, la disuguaglianza è aumentata soprattutto nel Mezzogiorno e nel Nord-ovest, mentre è migliorata nel Nord-est.

In diminuzione i redditi da lavoro autonomo e da trasferimenti pubblici

Nel 2023, il reddito medio familiare in Italia, includendo gli affitti figurativi per le case di proprietà, è stato di 42.715 euro, con una diminuzione reale del 1,6% rispetto all’anno precedente. I redditi da lavoro autonomo hanno subito la maggiore contrazione (-4,3%), seguiti da quelli da trasferimenti pubblici (-3%) e da lavoro dipendente (-0,6%). Rispetto ai livelli pre-crisi del 2007, i redditi da lavoro autonomo sono diminuiti del 23,8%, quelli da lavoro dipendente dell’11,4%, mentre i redditi da pensioni e trasferimenti pubblici sono aumentati del 2,1%. La perdita maggiore riguarda gli affitti figurativi, con una contrazione del 27%.

I lavoratori a basso reddito sono 1 su 5

Nel 2023, il 21% dei lavoratori in Italia è a basso reddito, un dato stabile rispetto all’anno precedente. Il rischio di basso reddito è più alto per le donne (26,6% contro 16,8% degli uomini), i giovani sotto i 35 anni (29,5%), gli stranieri (35,2% contro 19,3% degli italiani) e chi ha un livello di istruzione più basso.

I lavoratori a termine (46,6%) e gli autonomi (28,9%) sono più colpiti rispetto ai dipendenti a tempo indeterminato (11,6%). L’intensità lavorativa influisce significativamente: l’incidenza è dell’88,8% per chi ha lavorato meno di 4 mesi. Il rischio di basso reddito è aumentato rispetto al 2007 (16,7%), con un picco durante la crisi economica e la pandemia, ma nel 2023 è sceso al 21% rispetto al picco del 24,6% nel 2020. Se si utilizza una soglia fissa del 2007, il rischio è più elevato, raggiungendo il 25,2% nel 2023

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