Ecco una verità inaspettata: la cultura – e l’intrattenimento – rifiuta gli sguardi chiusi, il sentire morbido e prevedibile, le sintonie. L’intrattenimento – e la commedia – deve fare domande, non dare risposte: qui il valore civile che un genere spesso bistrattato come quello della commedia italiana può assumere.
Chi è Tommaso Renzoni, lo sceneggiatore di Gigolò per caso
A esserne certo è Tommaso Renzoni, sceneggiatore per il cinema e la televisione, almeno cinque pagine di curriculum, in cui spicca la vittoria del Premio Solinas Experimenta, la scrittura di Braccialetti Rossi, fino alla creazione di Posaman – Sono Lillo, il film Margini e Gigolò per caso, la serie disponibile su Amazon Prime con Christian De Sica e Pietro Sermonti, della quale Renzoni ha raccontato al quotidiano Il Difforme aneddoti, dietro le quinte, significati visibili e invisibili.
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Ma Renzoni è sceneggiatore anche di se stesso, quando deve raccontare chi è. “Scrivo storie, a volte di supereroi e a volte di punk di provincia”, si legge nella sua bio online. Se non scrive, insegna. E, infatti, aggiunge: “Se siete così fuori di testa da voler imparare qualcosa da me, insegno al master della Iulm”.
Venendo a Gigolò per caso, la serie racconta in sei episodi le peripezie di Alfonso Bremer (l’idea di chiamarsi Bremer è di Sermonti), un sensibile orologiaio e un appassionato lettore di libri femministi, costretto, dopo una serie di sfortunati eventi, a sostituire sul lavoro il padre Giacomo. Il padre però non è stato un antiquario come ha sempre creduto, ma un gigolò.
Gigolò per caso: “una serie di sesso, senza scene di sesso”
“Si tratta dell’adattamento di un concept francese, Alphonse – spiega Renzoni, che insieme a Daniela Delle Foglie ha curato il soggetto e la sceneggiatura – che però era piuttosto indietro sulla scrittura. È stato subito chiaro che potessimo trarre le premesse del racconto e creare un lavoro diverso”.
Gigolò per caso, “una serie di sesso, senza scene di sesso”, affronta, infatti, a ritmo sostenuto e con non pochi guizzi di genio sessualità, rapporti di coppia, rapporto fra maschile e femminile, lambendone soprattutto i livelli più tossici e disfunzionali, senza diventare pedante e didascalico, ma solleticando la curiosità dello spettatore. La sceneggiatura – quel lavoro certosino di scoperchiamento che fa il paio con il levare della scultura – “ragiona sul rapporto padre-figlio, due generazioni differenti a confronto, separate dalla rivoluzione sessuale e dal cambio di paradigma di potere, eppure entrambi uomini in cammino”.
Gigolò per caso, il duo Sermonti e De Sica
Da una parte, Alfonso (Pietro Sermonti): tanti libri per casa che raccontano la storia dell’emancipazione femminile, il volto della madre incastonato in un orologio da taschino, quasi a mantenere il controllo del ricordo, immerso nella luce francese del quartiere Coppedè con un cappotto arancione in sella alla sua bicicletta verso un lavoro che non gli si addice poi tanto; dall’altra Giacomo, perfettamente delineato da un Christian De Sica come avevamo dimenticato che fosse: un uomo bifronte, irrisolto e con la spocchia di sentirsi risolto, con un savoir faire anch’esso francese ma inframmezzato dalla carica comica della battute in romano.
Renzoni: “Con De Sica abbiamo revisionato insieme la sceneggiatura”
“De Sica per primo ha voluto un personaggio che fosse occasione per esprimersi in maniera più sfaccettata – racconta Renzoni, sul set per tutta la lavorazione – Abbiamo revisionato insieme la sceneggiatura, affinché fosse il più possibile adatta a lui”. Giacomo Bremer restituisce, suo malgrado, un approccio umano al lavoro di sex work. È un uomo impasticcato di patriarcato ma su cui si intravedono in controluce tutte le conseguenze della mascolinità tossica.
De Sica/Giacomo Bremer, l’origine delle sue battute
È una serie che parla a maschili risolti e irrisolti, alle donne, a tutta la società attraversata da una pluralità di femminismi e a tutte le età. Pone al centro il tema del controllo, che degenera però in evitamento. Giacomo, ad esempio, autore del suo metodo, il Metodo Bremer, un compendio di virilismo e patriarcato vecchio stampo “non entra in contatto con le sue emozioni”.
“È un uomo (reduce da un infarto, ndr) che sta vivendo la sua tragedia personale: la fallibilità del corpo, la fatica. È un personaggio in crisi profonda, ma che nel frattempo ha addosso la commedia di cui De Sica è portatore. E abbiamo fatto sì che le battute fossero specchio di momenti molto intimi. In quelle battute, parla di se stesso, del figlio, del corpo, con un metodo dissociativo”. Gigolò per caso attraverso una trama orizzontale e una trama verticale perfettamente bilanciate “si inserisce in un momento storico di confusione e ambisce a esplorare le sfumature del tempo moderno”.
Il personaggio più difficile? Margherita è “quasi antipatica”
A raccontare l’irrisolutezza – resa anche nei dialoghi – è il personaggio di Margherita (Ambra Angiolini), moglie di Alfonso, e con una relazione clandestina con la loro terapeuta di coppia, Costanza (Asia Argento), portatrice di una sorta di femminilità intossicata.
“Quello di Margherita è un personaggio pensato insieme a quello di Alfonso – precisa lo sceneggiatore – è indecisa e risulta quasi antipatica, al contrario della rapace Costanza. Ed è forse stato il personaggio più difficile. Sono tutti personaggi che stanno evitando di farsi domande. Abbiamo voluto evitare di appoggiarci troppo sugli archetipi. Volevamo fossero vivi e non paradigmatici. Volevamo scrivere personaggi più grandi della serie, che andassero oltre la serie, come lo è sicuramente la madre di Alfonso, interpretata da Stefania Sandrelli”.
Nel riuscito chiasmo creatosi fra Alfonso, Margherita, Costanza e Giacomo, la ragione aleggia un po’ dappertutto. Renzoni, dal di dentro della struttura narrativa, afferma appunto che “si è voluto che tutti nel loro sistema di valori avessero ragione, in questa supposta battaglia dei sessi”.
Spogliatoio e confessione maschile, Renzoni: “Una scena fortemente voluta”
Fra un guizzo di scrittura e l’altro, “non è una serie senza Dio”, senza un valore forte. C’è don Luigi (Frank Matano) che fin dal primo episodio “rappresenta il grillo parlante di Alfonso. E lo fa nel luogo per antonomasia della confessione maschile: lo spogliatoio. È il luogo che racconta gli uomini messi a nudo, in una scena che ho fortemente voluto. È lì che Alfonso, circondato dai corpi nudi altrui, racconta il rapporto tormentato con il padre”. Ma a segnare un discrimine rilevante, è il tema del gioco delle donne, che assurge a concetto narrabile. Attraverso la leggerezza, la stupidera e la locura di femminili diversi, “la serie mette in scena donne non contenute che si riprendono spazio”.
Mettere un punto alla serie
Quale, allora, la risoluzione della serie? “C’è stato un momento della scrittura in cui mi sono chiesto come saremmo arrivati alla fine. Ma a un certo punto abbiamo scovato il momento in cui Alfonso ha la chance di evolvere. Un’evoluzione cui giunge solo attraverso l’incontro con femminili estranei e mettendo da parte lo studio ossessivo delle donne”.
D’altronde, a rendere questo prodotto di intrattenimento una narrazione avvincente è il tema della crisi in quanto tale. Attingendo a piene mani dalla dimensione dell’umano contemporaneo, Gigolò per caso“racconta il femminile e il maschile come conflitto e armonia”, consci che ogni narrazione riuscita nasce e si evolva dal conflitto. “Al prodotto di spettacolo ormai si chiede di dare risposte concrete sulla società”, obietta Renzoni che ribadisce: “La cultura è conflittuale e dunque non deve dare risposte, ma fare domande”. Le risposte sono forse già dentro le domande e nell’atto stesso di sapersi interrogare ancora.
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