Un cammino da Napoli ad Assisi per scoprire una verità: dall’altra parte della paura ci siamo noi stessi
Durante quattrocentocinquanta chilometri possono succedere molte cose. Puoi vedere nuovi paesaggi e incontrare nuovi volti. Puoi perdere te stesso e ritrovarti. Ecco il motivo per cui è proprio “450 km” il titolo dell’esordio letterario di Francesco Piccolo. Francesco ha escluso il cammino di Santiago perché è costellato di ostelli cui chiedere ospitalità. Rappresentavano una rete di sicurezza e lui le sicurezze voleva perderle.
Per questo ha scelto di camminare da Cercola, in provincia di Napoli, fino ad Assisi, in una settimana dell’agosto del 2004. Diciotto anni dopo ha tirato fuori dal cassetto il piccolo taccuino di viaggio nero che aveva portato con sé e ne ha tratto un libro.
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“450 km” sono tanti: da cosa nasce l’urgenza di andare?
Non nasce da un’urgenza, ma, come ho scritto nel libro, da una scintilla: una sera del novembre precedente, nel 2003, leggendo il libro “Il cammino di Santiago” di Paulo Coelho, ho avuto questa illuminazione e ho pensato che sarebbe stato bello tentare qualcosa di simile. Non a Santiago, ma ad Assisi: sono legato a San Francesco. Da lì è nata l’idea, prima nello spirito e poi nel corpo.
Quindi dietro la scelta di Assisi un movente religioso?
In realtà più affettivo, verso la città; come dicevo, sono legato a San Francesco ma, come figura, penso egli possa essere un punto di riferimento anche per chi non è credente. Lo stesso discorso vale per questo viaggio, che tutti possono e dovrebbero fare, a prescindere da quale motivo abbiano per compierlo o quale sia la meta, almeno una volta nella vita.
Quanto tempo è servito per la preparazione del viaggio?
Qualche mese: da gennaio a luglio; molto più del cammino stesso, durato dal 16 al 28 agosto 2004. Ho cominciato ad andare in palestra quattro volte a settimana e ho pianificato il percorso che avrei dovuto fare. Questo allenamento mi è stato utile sia dal punto di vista fisico, ma anche per esorcizzare la paura: durante i mesi di preparazione ho parlato a lungo con la famiglia e con gli amici di quello che sarebbe avvenuto e tutti mi hanno chiesto di aspettare, di non andare da solo… Quando ho iniziato a camminare, sono passato dal pensiero all’azione e ho capito che potevo farcela.
I momenti più complessi vissuti durante il cammino?
Se dovessi scegliere, direi questi due, che hanno generato un intenso cambiamento dentro di me: la partenza e l’arrivo. Ho parlato più di una volta della mia idea, sia nel libro che prima di partire, e ho notato che molti ritengono che la parte più difficile sia camminare giorno dopo giorno. Di certo non è semplice, ma la più complessa in verità è compiere il primo passo, decidere di mettersi lo zaino in spalla per uscire di casa, mettersi a camminare e vedere che succede. Abbandonare la certezza per l’incertezza. Ho fatto tappe di quaranta-quarantacinque chilometri ogni giorno e non se ne ha idea, ma nessuno riesce a vedere da qui a quarantacinque chilometri, a meno che non si sia sulla cima del Monte Bianco. Non potevo sapere cosa ci fosse dietro la prossima curva. Il secondo momento complesso è stato sicuramente l’ultimo chilometro, di cui racconto in uno degli ultimi capitoli del libro e in cui si sono accumulate tutta la stanchezza e la tensione, ma anche la voglia di raggiungere questo traguardo fisico e psicologico che ritenevo importante per me.
Nell’immaginario collettivo, il pellegrino parte con la sua bisaccia e pochi viveri per arrangiarsi da sé: tu in che modo eri attrezzato?
Premetto: venivo da circa vent’anni di scoutismo e la cosa mi ha dato un grande aiuto. Sono partito con un grande zaino contenente: un sacco a pelo, un fornellino da campo che non ho mai dovuto accendere perché tutte le sere sono stato ospitato da qualcuno che mi ha dato da mangiare, scarponi da trekking, pochi vestiti per non appesantire lo zaino, del sapone da usare all’occorrenza e quant’altro potesse essere essenziale. Anche da questo punto di vista il cammino è stato importante: ho imparato ad alleggerirmi delle cose superflue.
Hai attraversato grandi città? E le persone che ti hanno ospitato erano ben disposte nei tuoi confronti?
Città vere e proprie no, ma piccoli paesini: era più semplice trovare qualcuno che ti ospitasse, cosa che voleva dire suonare ai citofoni delle case, una per una, e chiedere albergo in cambio di qualche lavoretto. Non domandavo da mangiare, perché avevo sempre qualcosa nello zaino, ma in ogni occasione chi mi ospitava si offriva di cucinare comunque per me. Certo, ho ricevuto anche rifiuti, ma chi era ben disposto non si è preoccupato di chi fossi e mi ha accolto con serenità e tranquillità. Io poi sono alto un metro e novantatré, quindi immagino che a prescindere vedermi alla porta possa incutere un po’ di timore. In una delle tappe sono stato ospitato da una coppia che mi ha dato addirittura la propria camera da letto, dormendo in quella degli ospiti.
Si dice che chi torna da un viaggio non sia la stessa persona che è partita: chi era Francesco prima e chi è adesso?
Sono partito che ero ragazzo, un venticinquenne con tanti dubbi e che non sapeva quale fosse il proprio posto nel mondo. Fino a quel momento avevo avuto una vita normale, senza drammi particolari, e questo cammino è stato un modo per mettermi alla prova. Il Francesco che è arrivato a destinazione aveva consapevolezza di cosa fosse riuscito a realizzare, tanto che oggi posso dire che quel cammino è diventato un punto di riferimento per tutto quello che è successo da allora in poi, sia dal punto di vista personale che emotivo. Nei momenti di maggiori difficoltà mi dico che, se sono riuscito a fare una cosa simile, posso fare tutto. In un certo senso quindi possiamo dire che ha reso più semplici molte cose.
C’è stato un momento in cui hai pensato di arrenderti?
Sì, assolutamente. Sono stati molti i momenti in cui ho messo in dubbio ciò che stavo facendo. La verità è che quello che mi ha consentito di andare avanti è stato il fatto di non fermarsi. Mi incamminavo e pensavo ai miei amici, che erano al mare a godersi le vacanze. Il segreto, come dicevo, è che, mentre mi chiedevo chi me lo facesse fare, continuavo a camminare. Ogni passo in più mi avvicinava alla meta ed era uno in meno da fare, finché non mi sono voltato indietro e ho visto che la strada percorsa era maggiore di quanto ne avessi da fare. Mi ponevo obiettivi vicini per darmi la voglia di arrivare e vedere cosa ci fosse dopo e questo mi dava coraggio. C’è una citazione di Alicia Gilménez Bartlett che dice: “Il coraggio non è non avere paura, ma avercela e andare avanti lo stesso”.
Autore: Francesco Piccolo
Titolo: “450 km”
Editore: bookabook
Numero di pagine: 248
Prezzo: 17 euro
ISBN: 9788833237985
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