Inclusione persone sorde, le nuove sfide: “L’Italia è in ritardo”

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Il parere dell’esperta Mariateresa Gilbo sul fondo a firma Locatelli: Mi auguro che la parola accessibilità venga dimenticata”. La situazione nel nostro Paese e i mezzi per recuperare

La differenza sottilissima fra celebrare la diversità per normalizzarla e puntarci il dito contro per ghettizzare e comprovare un solo modo di essere – “normali” – è ciò da tenere a mente quando si vuole lavorare sull’inclusività di categorie notoriamente marginalizzate.

“Mi auguro che presto la parola accessibilità venga dimenticata, in quanto non più necessaria, perché tutto naturalmente accessibile”. È questa la visione della dottoressa Mariateresa Gilbo, esperta in disabilità sensoriali e interprete LIS, che, all’indomani della firma del decreto “Fondo per l’inclusione delle persone sorde e con ipoacusia”, si pronuncia sulla questione. Il Fondo prevede 10 milioni di euro da destinare alla realizzazione di progetti sperimentali per la diffusione dei servizi di interpretariato in Lingua dei segni italiana (Lis) e in Lingua dei segni italiana tattile (List).

Includere è una missione quotidiana: “è chiaro che non può essere un solo progetto a portarla a termine”, afferma l’esperta, e perciò “bisogna necessariamente agire su più fronti, a partire dalla scuola”.

“Oggi voglio portare l’attenzione sulla ricca e variopinta cultura sorda”. Garantire diritto di cittadinanza a ogni cultura, identità e comunità non deve più essere una gentile concessione emessa dall’alto, ma impegno quotidiano pronto a diventare abitudine e poi consuetudine.

Come accoglie questa notizia? Qual è lo stato attuale delle cose nei servizi?

“Lo stato attuale dell’accessibilità in Italia per le persone sorde è sicuramente in via di sviluppo, ma non è mai abbastanza, si può sempre fare di meglio e di più. La speranza è sempre che, ad ogni rinnovo di questo fondo, ci sia qualcuno che presenti il progetto che rivoluzionerà la vita delle persone che affrontano la vita sociale con le difficoltà legate alla realtà della sordità, più o meno profonda. Roma non si è fatta in una notte, e per questo ogni passo verso la realtà ideale, è un momento importante per la nostra Italia. Nel mondo ideale quello che mi auguro è che presto la parola accessibilità venga dimenticata, in quanto non più necessaria, perché tutto naturalmente accessibile e fruibile”.

Come spendere al meglio questi soldi? Di cosa c’è realmente bisogno?

“Per chi, come me, si interfaccia con il settore dell’accessibilità, è chiaro che non può essere un solo progetto a portare a termine la missione che ci poniamo ogni giorno, per abbattere le barriere comunicative tra diversi approcci e scelte linguistiche, bisogna necessariamente agire su più fronti, a partire dalla scuola, per finire al terzo settore. Credo fermamente che l’informazione, come processo di conoscenza e integrazione, sia lo strumento più importante per permettere, a tutte quelle realtà che vivono ancora ai margini della società, di uscire dell’isolamento. Finito l’isolamento, tutti i nostri concittadini potranno fruire delle ricchezze che ogni minoranza custodisce e con cui siamo soliti convivere passivamente”.

“Sicuramente in tanti si impegneranno per la diffusione e l’inclusione delle persone sorde segnanti (che comunicano principalmente con la lingua dei segni) e le persone sordo-cieche (che comunicano attraverso la lingua dei segni tattile). Pochi probabilmente si soffermeranno sull’importanza di includere chi vive al confine tra il mondo udente e il mondo sordo, per chi, come me, è un po sordo e un po’ udente, e che non può identificarsi né come sordo né come udente. Siamo la fetta più grossa, tra le persone che si interfacciano con il mondo della sordità: circa 7 milioni di persone. In conclusione credo che focalizzarsi anche sull’ipoacusia e la sua realtà sia di fondamentale importanza per unire come un ponte, le due realtà, apparentemente molto lontane”.

L’Italia, così, può concorrere con gli altri Paesi rispetto a inclusione e integrazione?

“Non è facile farsi un’idea chiara della situazione negli altri paesi senza averne un contatto diretto ma giungono dall’oltreoceano notizie confortanti, infatti negli Stati uniti, grazie al grande lavoro di William Stokoe negli anni Cinquanta, il linguista che avviò gli studi sulle lingue dei segni, considerandole vere e proprie lingue. Questi studi iniziarono in Italia dieci anni più tardi e credo che questo sia ancora oggi il tipo di ritardo di cui l’Italia soffre. Ne soffre perché ad oggi sopravvivono pregiudizi e l’accessibilità deve ancora toccare il suo apice di copertura sul territorio nazionale”.

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