Nell’affollata dialettica fra linguaggio e mondo, letteratura e realtà, mondo scritto e mondo non scritto, si muove la produzione di Italo Calvino. Sanremese, prim’ancora che ligure – “il mio paesaggio era qualcosa di gelosamente mio” – Calvino è uno dei più rilevanti scrittori del secondo dopoguerra italiano. Leggerezza, molteplicità e oggettività strumentale sono le direzioni immanenti della sua scrittura, che trovarono il loro manifesto nelle tarde Lezioni americane del 1988.
Calvino, l’intellettuale alla ricerca del senso
Accanto all’ingente produzione letteraria, approdata a soluzioni narrative e stilistiche diversificate, sono impilati in fogli sparsi i tentativi di comprensione del suo spazio-tempo virtuale e visuale, le dichiarazioni di poetica e le domande sul non-ancora-scritto. È infatti in ciò che deve-ancora-essere-scritto che l’autore gioca le sue penne migliori e si consegna al mondo in quanto intellettuale impegnato, culturalmente e politicamente, ricercando a lungo “il senso del complicato, del molteplice e del relativo e dello sfaccettato”.
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Dal mondo scritto al mondo non scritto
“Appartengo – dichiara in Mondo scritto e mondo non scritto – a quella parte dell’umanità […] che passa gran parte delle sue ore di veglia in un mondo speciale, un mondo fatto di righe orizzontali […] Quando mi stacco dal mondo scritto per ritrovare il mio posto nell’altro quello che usiamo chiamare il mondo […] questo equivale per me ogni volta a ripetere il trauma della nascita, a dar forma di realtà intelligibile a un insieme di sensazioni confuse, a scegliere una strategia per affrontare l’inaspettato senza essere distrutto”.
L’impegno politico come “necessità naturale”
In quanto intellettuale, egli è osservatore, scrutatore e critico. Vive la letteratura dal di dentro: ne lambisce le pareti, la ammobilia, ne definisce gli inquilini. Allo stesso modo, abita l’altro mondo, quello non scritto, alla soglia del quale occorreva prepararsi accuratamente – “il rito di mettermi gli occhiali, dato che sono miope e leggo senza occhiali” – e in cui “l’impegno politico, il parteggiare, il compromettersi fosse ancora più che dovere, necessità naturale dello scrittore d’oggi e prima ancora ancora dello scrittore, dell’uomo moderno”.
Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno: “Sarebbe stato meglio non averlo mai scritto”
Nell’instancabile aggrovigliamento attorno alle cose della letteratura, è cruciale la prefazione al romanzo che “sarebbe stato meglio non averlo mai scritto”: Il sentiero dei nidi di ragno. Romanzo neorealista, è lo spaccato della Resistenza partigiana nella Liguria post-armistizio, attraverso lo sguardo obliquo del bambino Pin.
La prima edizione viene pubblicata nell’ottobre 1947, all’interno della collana I coralli per Einaudi. Nel giugno del 1964, appare una nuova edizione del libro con la prefazione firmata dallo stesso autore. Calvino oscilla fuori e dentro il romanzo, misurandosi con un’identità duale fra autore del narrabile e critico del narrato.
Calvino fuori e dentro il romanzo
Attraverso un accurato e sapiente gioco retorico, interloquisce con il lettore e pianta i postulati critico-interpretativi del romanzo: il concepimento, i modelli emulati, il linguaggio utilizzato, la prospettiva in cui porsi per dirigere lo sguardo, le dinamiche spazio-temporali narrate, parallele a quelle vissute, la Resistenza, il personaggio-partigiano e il Neorealismo. Non ultimo, il nuovo, sparso e multicolore movimento letterario in una parabola che va dall’agitato nascere al silenzioso incenerirsi.
La necessità dell’intellettuale
L’operazione di Calvino appare come la volontà di abitare più spazi di scrittura, di estendere la storia, collegandola alla propria e alle altre, multicolori, distintive, ma universali esperienze di quegli anni e di riportarle a galla. Forse un’operazione critica, forse editoriale o forse uno slancio creativo a posteriori. Affiora, sicuramente, una tangenziale narrativa, poco fuori il romanzo in sé, in cui si intravede la necessità impellente per un intellettuale di creare segnaletiche, di narrare “come fossero andate le cose”.
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