Delitto via Poma: carabinieri accusano Mario Vanacore, ma per i pm “le prove non reggono”

I carabinieri hanno consegnato un'informativa alla Procura di Roma in cui accusano Mario Vanacore, figlio del portiere dello stabile dove lavorava Simonetta Cesaroni, dell'omicidio della ragazza; la Procura non è convinta della colpevolezza e chiede l'archiviazione del caso

Redazione
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A più di ventitré anni di distanza dall’orribile omicidio di Simonetta Cesaroni, uccisa negli uffici di via Poma dove lavorava, i carabinieri hanno consegnato una corposa informativa alla Procura di Roma in cui Mario Vanacore viene indicato come autore del delitto. Una risoluzione attesa dalla famiglia Cesaroni da quel terribile 7 agosto del 1990, quando Simonetta è stata ritrovata morta nello stabile dove Pietrino Vanacore, padre di Mario, ricopriva la posizione di portiere.

Sin da subito la famiglia Vanacore -compresa Giuseppa De Luca, moglie di Pietrino e matrigna di Mario- era apparsa sospetta agli inquirenti, tanto da convincerli inizialmente che il killer fosse proprio Pietrino, il quale per l’onta dell’accusa si è suicidato nel 2020 poco prima di una deposizione contro il fidanzato di Simonetta.

Oggi, però, i carabinieri sembrano convinti che l’assassino di Simonetta sia Mario, figlio di Pietrino, che come suo padre aveva accesso agli uffici dove lavorava la vittima e che era solito visitarli senza permesso. Non sono altrettanto certi della colpevolezza di Mario Vanacore i magistrati della Procura di Roma, che invece propendono per l’archiviazione del caso, ormai troppo lontano nel tempo per generare certezze.

Delitto di via Poma, i dubbi sulla colpevolezza di Vanacore

Varie ipotesi e suggestioni non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato” hanno contestato i magistrati, non ritenendo l’informativa valida per l’accusa formale di Mario Vanacore. Sono troppi i dubbi, i punti oscuri e la distanza temporale dal momento dell’omicidio non aiuta nella ricostruzione degli eventi. Proprio per questo la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del caso lo scorso 13 dicembre, circa due anni dopo la sua riapertura a seguito di un’esposto della famiglia Cesaroni.

I carabinieri però continuano ad essere convinti di aver finalmente dato un’identità al killer di Simonetta, lasciato a piede libero per più di venti anni. Secondo la ricostruzione presente nell’informativa, Mario Vanacore avrebbe ucciso Simonetta a seguito di una colluttazione, mentre tentava di violentarla.

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Simonetta Cesaroni

L’uomo sarebbe salito negli uffici di via Poma grazie alle chiavi di suo padre per effettuare delle telefonate extraurbane con i telefoni dell’azienda, pensando che nello stabile non vi fosse nessuno. Una volta vista la vittima, sola nell’ufficio, l’avrebbe costretta a spostarsi nell’ufficio del direttore e lì avrebbe tentato di violentarla. Simonetta ha però lottato con tutte le sue forze riuscendo anche a ferire il suo aggressore con quella che poi si sarebbe rivelata l’arma del delitto. Secondo i carabinieri, quindi, Mario Vanacore sarebbe riuscito a colpire al volto la ragazza, facendola cadere a terra e in seguito l’avrebbe uccisa con 29 coltellate, mentre era a cavalcioni sul suo corpo.

La ricostruzione non ha comunque convinto la magistratura, che continua a ripetere che le prove a carico di Vanacore non sono esaustive, e come di conseguenza l’accusa non possa essere formalizzata. Non è stata abbastanza neanche la ricostruzione della commissione parlamentare antimafia, secondo cui Pietrino Vanacore e Giuseppa De Luca avrebbero cercato di coprire il gesto di Mario, ritardando il ritrovamento del cadavere di Simonetta, probabilmente per cercare di occultare il corpo oppure di spostarlo in un luogo diverso da quello dell’omicidio.

L’alibi e la difesa di Mario Vanacore

Mario Vanacore continua a difendere la sua posizione, spiegando come già da tempo la sua persona fosse stata esclusa dalle indagini grazie ad un alibi: “Quando è stata uccisa ero con mio papà e la matrigna. Siamo andati in farmacia e dal tabaccaio. La mia posizione era già stata archiviata. A Roma sono arrivato proprio quel giorno lì, il 7 agosto 1990. Con mia moglie e mia figlia, che all’epoca aveva due anni, abbiamo viaggiato di notte perché non avevamo l’aria condizionata. Siamo arrivati alle 9 del mattino. E sono andato in giro con mio padre“.

Un alibi che però regge solo grazie alle testimonianze di Pietrino e Giuseppa, le cui posizioni non sono mai state realmente chiarite. “Ho visto Simonetta solo da morta” continua a dichiarare Mario Vanacore mentre il caso di via Poma non sembra avvicinarsi ad una svolta ma, al contrario, sembra pronto ad essere declassato tra i cold case italiani, ovvero i delitti ormai archiviati senza alcuna soluzione.

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