Sessanta giorni senza avere alcuna notizia di Alberto Trentini, l’italiano arrestato in Venezuela il 15 novembre scorso. Il cooperante di origini veneziane si trovava in missione con le Ong Humanity e Inclusion nel Paese sudamericano dal 17 ottobre, con l’obiettivo di portare aiuti umanitari alle persone con disabilità. “Stava raggiungendo Guasdalito dalla capitale Caracas – spiegano i familiari assistiti dall’avvocata Alessandra Ballerini – quando è stato fermato ad un posto di blocco, insieme all’autista della Ong“.
I famigliari di Trentini in queste settimane hanno cercato di ottenere informazioni sul giovane, lanciando un drammatico appello al Governo italiano nella speranza di riportarlo a casa sano e salvo. Le notizie ricevute dalla famiglia Trentini sono però estremamente scarse ed informali, dalle quali è stato possibile comprendere solamente che il cooperante sia stato trasferito a Caracas dopo il fermo e, ad oggi, sembrerebbe trattenuto in una struttura di detenzione. Ciò che non è stato minimamente contestualizzato formalmente è il capo d’imputazione con cui Alberto è stato arrestato.
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Un problema che aggrava la situazione al quanto delicata è la mancanza, da settimane, di invio di notizie ufficiali da parte di autorità Venezuelane o italiane alla famiglia Trentini. Difatti, “da quasi due mesi, nulla sappiamo sulle sorti di Alberto, tenuto anche conto che soffre di problemi di salute e non ha con sé le medicine né alcun genere di prima necessità“, denunciano i famigliari del cooperante veneziano, che dal giorno del suo arresto nessuno è riuscito a vederlo o a parlare con lui.
“Neppure il nostro Ambasciatore – aggiungono i famigliari – è riuscito a comunicare né ad avere sue notizie nonostante plurimi tentativi“. Si tratta quindi di una situazione di dinamiche totalmente ignote che ha immediatamente portato i parenti di Alberto ad appellarsi al Governo affinché si possa “porre in essere tuti gli sforzi diplomatici possibili e necessari, aprendo un dialogo costruttivo con le istituzioni Venezuelane, per riportare a casa Alberto e per garantirne l’incolumità“.
La famiglia: “Le autorità venezuelane non comunicano notizie“
Per i familiari del cooperante risulta “inaccettabile che cittadini italiani che si trovano a lavorare o visitare altri Paesi con l’unica finalità di contribuire a migliorare le condizioni di vita dei loro abitanti, si trovino privati delle libertà e dei diritti fondamentali senza poter ricevere nessuna tutela effettiva dal nostro Paese“. In questo momento di estrema tensione, la famiglia confida, quindi, totalmente nel lavoro del Presidente del Consiglio e dei ministri interessati nella speranza che “si adoperino con lo stesso impegno e dedizione recentemente dimostrati a tutela di una nostra connazionale (Cecilia Sala, ndr), per riportare presto Alberto in Italia“.
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