Strage Ustica: 42 anni avvolti ancora nel mistero 

Anastasia Borra
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Il 27 giugno del 1980 l’aereo di linea di Itavia perde i contatti con la torre di comando di Roma Ciampino e affonda nel mar Tirreno. A distanza di decenni ancora non sono chiare le cause del disastro dove persero la vita 81 persone

Il 27 giugno 1980, esattamente 42 anni fa, l’aereo di linea IH870 della compagnia Itavia affonda nel mar Tirreno in circostanze misteriose. A distanza di decenni, la storia della strage di Ustica è ancora un mistero, dai contorni non ben definiti. 

Il velivolo, con rotta Bologna-Palermo, partì con due ore di ritardo dal capoluogo romagnolo per perdere i contatti con la torre di controllo dell’aeroporto di Roma Ciampino. Dopo essere dichiarato disperso, nelle luci dell’alba del giorno successivo i soccorsi individuarono i primi detriti in affioramento dal mare, a 110 chilometri di distanza dall’isola di Ustica. 

Nel disastro aereo, il quarto più grande che coinvolge un aereo di bandiera italiana, persero la vita ben 81 persone fra equipaggio e passeggeri, senza nessun superstite. La fusoliera dell’aereo fu recuperata solo nel 1987, con lo stanziamento dei fondi necessari da parte del ministro del Tesoro, Giuliano Amato, a una profondità di 3700 metri. 

Mancanza di prove, teorie e depistaggi

Di fronte a una certa causa dell’incidente, negli anni sono molte le teorie che sono state fatte sulla strage di Ustica. La prima tesi accreditata fu quella di una bomba presente sulla fusoliera, incentivata anche da una telefonata ricevuta dalla segreteria del “Corriere della Sera” il giorno successivo alla strage, in cui si denunciò la presenza di un ordigno esplosivo posto dal gruppo neofascista dei Nuclei Armati Rivoluzionari

L’ipotesi fu presto smentita: non solo il gabinetto su cui era stata ipoteticamente piazzata la bomba non presentava alcun segno di deflagrazione, ma le due ore di ritardo accumulate nella partenza e il tragitto molto breve di volo rendevano alquanto difficile un’esplosione. 

La teoria del missile

Oggi la pista ritenuta ufficialmente vera dalla sentenza della Corte d’Appello di Palermo è quella dello scontro con un missile militare, ma fino ai primi anni Novanta era ritenuto uno scenario troppo surrealista, negato anche dai vertici militari. L’ipotesi si fonda sul fatto che negli anni Settanta e Ottanta lungo il mar Mediterraneo si giocava una guerra fredda silenziosa per il controllo delle rotte petrolifere fra le flotte italiane, francesi, libiche e statunitensi. 

L’abbattimento del velivolo di linea civile potrebbe essere stato un errore di valutazione di traiettoria. Avrebbe, infatti, dovuto colpire un secondo aereo nei paraggi sul quale viaggiava il colonnello Gheddafi, che all’epoca controllava la Libia. 

La stessa tesi sarebbe stata poi ribadita nel 2007 da Francesco Cossiga che affermò che la notizia gli fu data direttamente dai servizi segreti italiani. Un’ulteriore conferma poi venne dalle analisi effettuate sul velivolo affondato, sul quale vennero ritrovate tracce di esplosivo e piccole schegge presenti sui cadaveri delle vittime. 

Si continua a cercare la verità

Nel frattempo, l’Associazione per la Verità sul Disastro Aereo di Ustica, presieduta da Flavia Bartolucci, presenta insieme a Giuliana Cavazza, la figlia di una delle vittime, un esposto alla procura di Bologna per chiedere ulteriori accertamenti. La tesi dell’abbattimento del velivolo durante uno scontro militare non convince. 

Le carte presentate negli uffici giudiziari mostrano che «l’unica ipotesi tecnicamente sostenibile per spiegare la dinamica del disastro era quella dell’esplosione interna attribuibile a una bomba collocata a bordo dell’aereo di Itavia IH870». Si chiede, dunque, di riaprire la pista dell’attentato terroristico.

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