Intervista al legale della sorella del detenuto morto nel carcere di Oristano. I dubbi della famiglia su cosa sia accaduto quella sera
Sono ancora molti, troppi i dubbi e le incongruenze che lasciano la famiglia Dal Corso nella disperazione. Un terribile viaggio intrapreso dalla sorella Marisa Dal Corso, insieme al suo avvocato Armida Decina, per trovare la verità su quanto accaduto la sera del 12 ottobre 2022 nel carcere di Casa Massama ad Oristano. Ai nostri microfoni parla l’avvocato Decina che segue il caso Dal Corso, per chiarire ogni aspetto della vicenda.
Lei non seguiva Stefano nel corso delle sue vicende giudiziarie: che cosa l’ha spinta ad accettare questo caso?
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“Le tante incongruenze che ruotano intorno”.
Lei ha detto in Senato “parliamo di verità e giustizia”, quali sono le incongruenze che ha visto rispetto agli altri casi?
“Possiamo partire da tante inesattezze che troviamo anche nella relazione, se così la possiamo chiamare, medico-legale, che poi ha portato ad attestare il decesso di Stefano, dove troviamo neanche una relazione, ma un parere privo di firma dove viene scritto che la causa del decesso era riconducibile alla rottura dell’osso del collo. Questa cosa non è possibile desumerla, se non attraverso un esame specifico come un esame autoptico o la tac, cosa che non è stata fatta”.
Come si può spiegare il fatto che è stata negata l’autopsia in un caso del genere?
“E’ quello che ci chiediamo anche noi. Non vogliamo chiaramente additare la responsabilità di alcun tipo a nessuno. Quello che noi chiedevamo in presenza di alcuni elementi critici e criptici, che ci portavano comunque a notare delle anomalie intorno alla morte di Stefano, chiedevamo l’esame proprio come una forma di tutela di tutti”.
Quali sono i segni sul corpo che facciano pensare a una morte diversa da quella per impiccagione?
“Nella richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero mi sto cercando di sforzare per capire e per vedere. Poi vedo scritto che Stefano è stato trovato, diciamo, appeso tra la grata e il letto. Dalle foto si può notare come il letto sia perfettamente integro. E a occhio nudo non mi sembra che manchi nulla, né lenzuola, né coperte. Peraltro, nella superficiale ricostruzione fotografica effettuata da agenti appartenenti all’istituto penitenziario, non solo trovo delle foto mancanti, ma sostanzialmente io non vedo parte del lenzuolo che viene rinvenuto a terra e che sarebbe stato utilizzato da Stefano per impiccarsi come una parte mancante del letto. Questa cosa noi l’abbiamo sempre detta, essendo un detenuto che era ubicato in un reparto particolare – perché era nel reparto d’infermeria. Era in un reparto di transito proprio perchè Stefano non era assegnato a quel carcere, ma si trovava lì perché il 6 ottobre aveva deciso di svolgere in presenza un’udienza presso il tribunale di Oristano. Una scelta dettata dalla circostanza per la quale Stefano ha una bambina di 7 anni che vive con la mamma in Sardegna, per cui la sua volontà era quella di unire entrambe le cose: partecipare personalmente al processo e ottenere un colloquio visivo con la figlia – cosa che ha fatto in data 7 ottobre. Sono quindi tante le incongruenze che ci portano ad avere dei dubbi sulla reale dinamica di quello che è accaduto il 12 ottobre. Avrebbero dovuto, secondo noi, imporre la procura a dover effettuare un’autopsia perché era l’unico modo per fugare ogni dubbio”.
L’8 marzo è arrivato un pacco dove il mittente è ignoto e il destinatario è Stefano. Ci sono novità su questo fronte?
“No, non ci sono novità. Chi ha spedito il pacco sicuramente conosceva dei particolari personali dell’abitazione in cui viveva Stefano prima che venisse trasferito a Rebibbia. La particolarità è dettata dal fatto che nell’etichetta troviamo la dicitura “citofoni rotti”. I due fattorini che recapitano questo pacco chiamano, infatti, direttamente Marisa sul suo telefono cellulare. Sono quindi a conoscenza del numero privato della sorella, ma anche del fatto che Stefano fosse in detenzione domiciliare in quella casa. Lo ricordo perché Marisa mi chiama immediatamente terrorizzata, un terrore trasmesso anche a me. È davvero inquietante quello che poi ha trovato al suo interno: un libro dal titolo “Fateci Uscire da qui”, molto vecchio e difficile da trovare in commercio”.
“Abbiamo fatto una ricerca su chi avesse scritto questo libro: si tratta di una medium che parla delle anime del purgatorio. Chiesi a Marisa di provare ad aprirlo, capire se ci fosse qualche riferimento: nell’indice troviamo cerchiati due capitoli intitolati “la confessione” e “la morte”. Abbiamo messo a conoscenza la polizia postale e abbiamo inoltrato una formale denuncia alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma per cercare di capire se attraverso il loro aiuto riusciamo ad individuare il mittente del pacco”.
Quali sono i prossimi passi da attuare nel caso di Stefano. Ci sono delle novità dal Pm di Oristano?
“Dieci giorni fa il Pm ha notificato una richiesta di archiviazione per omicidio colposo – cioè quelle che viene individuato nelle indagini che sono scaturite a seguito della denuncia che da noi è stata presentata e che alla base aveva la richiesta dell’esame autoptico. Abbiamo ricevuto solo ieri la copia dell’intero fascicolo che ha ruotato intorno a questa indagine, stiamo preparando un’opposizione alla richiesta di archiviazione che è in procinto di scadenza”.
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