Pasta, è boom di acquisti di confezioni Made in Italy

Gli italiani preferiscono avere in tavola pasta 100% made in Italy. È quello che ha rivelato un’indagine Coldiretti effettuata su dati Ismea, in occasione della Giornata mondiale della pasta

Redazione
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Tra i piatti italiani più famosi al mondo, la pasta sta vivendo una vera e propria rivoluzione negli ultimi anni. Un alimento che non manca mai nelle dispense degli italiani, che ne consumano pro capite 23,5 chilogrammi all’anno, ma che ha una particolarità da far strabuzzare gli occhi: solo il 40% è prodotta con materie prime italiane. Una condizione che fa discutere e che in realtà è già migliorata rispetto alla situazione della produzione di pasta di dieci anni fa. Proprio nel 2013, infatti, è arrivata sulla tavola degli italiani la prima pasta 100% Made in Italy.

Pasta made in Italy
Pasta made in Italy

Un traguardo che ha permesso al settore di intraprendere un nuovo percorso, che ha messo in prima piano la necessità di tutelare i produttori italiani di grano duro. Una decisione presa da Coldiretti, che ha lottato a lungo per ottenere un’etichettatura delle confezioni di pasta che indicassero la provenienza italiana del grano duro utilizzato e il luogo in cui si è svolta la molitura. Un’etichetta che permette ai consumatori di decidere consapevolmente se acquistare italiano oppure no.

Pasta, solo il 40% è prodotta con grano italiano

La pasta prodotta con grano 100% italiano, è arrivata sugli scaffali dei supermercati italiani solo 10 anni fa, proprio grazie ad un’iniziativa Coldiretti, insieme a Legacoop Agroalimentare e Coop Italia. Un’innovazione che è stata inizialmente accolta con diffidenza, ma che in seguito ha conquistato i consumatori e i produttori. Oggi, quindi, il 40% della pasta venduta nel nostro Paese è prodotta con grano coltivato esclusivamente sul territorio nazionale.

Un cambiamento che è di certo piaciuto agli italiani i quali, secondo una stima Coldiretti, hanno acquistato nei primi nove mesi del 2023, il 13% di pasta 100% italiana in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Una crescita da non sottovalutare e che permette di festeggiare la Giornata mondiale della pasta, che si celebra il 25 ottobre, con una spensieratezza in più, ovvero quello che la produzione italiana può continuare a crescere, nonostante i periodi di difficoltà. La scelta di comprare italiano potrebbe derivare proprio dalla volontà da parte dei consumatori di aiutare le imprese del nostro territorio, cercando prodotti che rechino appunto l’etichetta del Made in Italy.

Nel caso dei pacchi di pasta, riconoscere la provenienza dei prodotti utilizzati è semplice: basta scegliere le confezioni con le indicazioni: “Paese di coltivazione del grano: italiano” ePaese di molitura: Italia. Una piccola accortezza che però può permettere agli imprenditori italiani di tirare un sospiro di sollievo e risorgere da un periodo di stagnazione economica.

Cucina e cibo italiano
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Pasta, il grano duro italiano e i fondi del Pnrr

Un problema da non sottovalutare è possibilità di fallimento di circa duecentomila aziende di produzione di grano italiano. L’Italia è il secondo Paese in Europa per produzione di grano duro destinato alla pasta e tale produzione riguarda circa 3,8 miliardi di chili su 1,3 milioni di ettari. La possibilità che questi prodotti rimangano inutilizzati potrebbe causare anche l’abbandono degli ettari di coltivazione, producendo effetti negativi per l’ecosistema e l’ambiente del nostro territorio.

È anche per questo che parte dei fondi del Pnrr dovranno essere utilizzati in questo settore, per creare accordi di filiera tra imprese agricole e industriali che permettano di stabilire prezzi equi e una stabilizzazione della quantità di prodotto, così come della sua qualità.

I fondi del Pnrr saranno fondamentali anche per aumentare i compensi degli agricoltori che, rispetto allo scorso anno sono scesi del 25%. Un calo da non trascurare perché mette in pericolo l’intera produzione della filiera della pasta. La mancanza di agricoltori, che potrebbero preferire altre occupazioni con salari più remunerativi, potrebbe voler dire un rallentamento considerevole della catena di produzione e di conseguenza un calo della crescita della coltivazione.

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