Dodici anni di pontificato, quarantasette viaggi apostolici, decine di Paesi visitati. Ma non l’Argentina. Nonostante fosse il primo papa sudamericano della storia, Jorge Mario Bergoglio non ha mai più rimesso piede nella sua terra natale da quel giorno del febbraio 2013, quando salì su un volo da Buenos Aires diretto a Roma per partecipare al conclave. Partì con in tasca i biglietti per tornare il 23 marzo. Non tornò mai più.
Un’assenza che, con il passare del tempo, ha assunto sempre più i contorni del mistero.
Non perché manchino le spiegazioni possibili: c’è chi ha parlato di ragioni politiche, chi di vecchie ferite mai rimarginate, chi di prudente diplomazia. Ma nessuna motivazione è mai stata ufficialmente confermata.
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Durante il suo pontificato, Francesco ha mantenuto uno stretto legame affettivo con la sua patria. Ha nominato arcivescovo di Buenos Aires uno dei suoi più cari amici, il “cura villero” Jorge Ignacio García Cuerva, e ha seguito da vicino le vicende politiche e sociali del Paese. Ma tutto questo è sempre accaduto a distanza.
L’Argentina è rimasta fuori dalla mappa dei suoi viaggi anche quando avrebbe potuto sembrare il momento giusto: non durante la presidenza di Mauricio Macri, certo, con cui i rapporti erano tutt’altro che idilliaci; ma nemmeno con Alberto Fernández, peronista come lui, e più in sintonia con la visione sociale del pontefice. E nemmeno ora, con Javier Milei alla guida del Paese, che pure ha tentato di riallacciare i fili dopo aver definito Francesco “un rappresentante del maligno” in campagna elettorale.
Per comprendere l’assenza di Francesco dall’Argentina bisogna forse tornare indietro nel tempo, agli anni più complessi e bui della storia recente del Paese. Nel 1973, a soli 36 anni, Bergoglio venne nominato provinciale dei gesuiti in Argentina. Tre anni dopo, il golpe militare instaurò una feroce dittatura: furono anni di repressione brutale, la cosiddetta “guerra sporca“, con decine di migliaia di desaparecidos. La Chiesa argentina mantenne un rapporto ambiguo con il regime, e Bergoglio, sebbene non coinvolto direttamente, venne accusato di non aver fatto abbastanza per difendere due confratelli gesuiti sequestrati e torturati dal regime. Una ferita, questa, che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Divenuto arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio si trovò spesso in conflitto con il potere politico. I suoi rapporti con Néstor e Cristina Kirchner furono particolarmente tesi, soprattutto sulle questioni etiche e sociali. Quando nel 2010 il governo argentino approvò la legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, Bergoglio fu uno dei più accesi oppositori, definendo il provvedimento “una guerra contro Dio“. Fu in quegli anni che maturò l’immagine di un uomo di Chiesa solido, ma anche divisivo.
Papa Francesco aveva detto di voler tornare in patria nel 2023. Poi ha parlato del 2025. Ma il tempo non gli ha dato ragione. E così Buenos Aires, la città dove ha vissuto, predicato, lottato, non lo ha più visto.
Nemmeno ora, dopo la sua morte, Francesco farà ritorno nella sua terra. Ha scelto Roma come sua ultima dimora, la Basilica di Santa Maria Maggiore. Un luogo che amava profondamente, ma anche una scelta che lascia aperte molte domande. Perché non Buenos Aires? Perché non la sua cattedrale? Perché non riposare accanto alla sua gente?
Forse per evitare divisioni, forse per un senso di universalità che ha sempre rivendicato. O forse perché certe ferite, anche per un papa, restano difficili da sanare.
Alla fine, Francesco ha amato l’Argentina da lontano. E l’ha salutata da lontano, in silenzio. E il motivo di quella lontananza? Nessuna conferma, solo ipotesi, sussurri, reticenze chiuse nella tomba a Santa Maria Maggiore. Perché sì, ci sono cose che solo Dio sa. E, a quanto pare, anche il Papa, ma non le ha raccontate.
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