Omicidio Giulia Cecchettin, Turetta rinuncia all’udienza preliminare

Il suo avvocato difensore, il prof Giovanni Caruso, spiega, che ne "consegue ad un percorso di maturazione personale del gravissimo delitto"

Redazione
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A otto mesi dall’omicidio di Giulia Cecchettin, uccisa dal suo ex fidanzato perché pronta a concludere definitivamente la loro relazione, Filippo Turetta non si sottoporrà all’udienza preliminare davanti al gup prevista il 16 e 18 luglio prossimi. Ha rinunciato, accettando di andare direttamente a processo in Assise.

Il suo avvocato difensore, il prof Giovanni Caruso, spiega, che ne “consegue ad un percorso di maturazione personale del gravissimo delitto commesso e alla volontà che la giustizia faccia il proprio corso nei tempi più rapidi possibili e nell’interesse di tutti“.

Omicidio Cecchettin: il verbale con la confessione

Il verbale della confessione di Filippo Turetta è stato reso pubblico. Letta durante la puntata di Quarto Grado, la confessione rivela brutali dettagli della morte della giovane Giulia, strappata alla vita dalla gelosia di un uomo, lo stesso con cui aveva condiviso parte della sua vita.

A mesi dalla morte della ragazza, ancora oggi il suo nome porta con sé il dolore di una società che ancora non sa riconoscere i diritti delle donne, troppo spesso costrette a subire le conseguenze di un patriarcato che ancora non si riesce a sconfiggere. A mantenere vivo il ricordo di Giulia ci sono suo padre Gino e sua sorella Elena, spesso accusati di voler strumentalizzare l’omicidio della giovane. Oggi il verbale della confessione di Filippo Turetta sembrerebbe fare chiarezza su alcuni dei punti più controversi di quella notte di sette mesi fa.

L’11 novembre scorso, secondo le parole dello stesso Turetta, Giulia sarebbe stata uccisa perché non più convinta di voler frequentare il suo ex ragazzo, divenuto ossessivo nei suoi confronti. Giulia voleva chiudere definitivamente i rapporti ma Turetta non era pronto ad accettare la sua scelta e per questo l’ha uccisa, usando alcuni coltelli che aveva con sé. “Continuava a chiedere aiuto, le ho dato, non so, una decina, 12 o 13 colpi col coltello” ha dichiarato Turetta al pm durante la sua confessione.

Turetta dichiara di non aver premeditato l’omicidio

Oltre ai dettagli terrificanti dell’aggressione messa in atto da Filippo Turetta, ormai convinto che se Giulia non avesse voluto trascorrere la sua vita con lui non avrebbe meritato alcun tipo di esistenza, ciò che colpisce particolarmente è la convinzione del sospettato che continua a dichiarare che il suo non è stato un gesto premeditato.

Avevo sempre dei coltelli con me, perché pensavo di suicidarmi“, così il ragazzo spiega ai pm i motivi per cui nella sua auto vi fossero ben tre coltelli diversi, di cui due utilizzati per aggredire Giulia. Allo stesso modo, Turetta spiega di aver sempre portato nella sua macchina dello scotch, un cambio di vestiti e alcune bevande e cibi. Quelli che per gli investigatori potevano sembrare le prove di una premeditazione, per Turetta sono semplici precauzioni da lui sempre adottate.

In questo modo, il giovane porta avanti la tesi per cui l’omicidio di Giulia fosse figlio di uno scatto di ira e non di un piano a cui potrebbe aver lavorato per settimane. La giovane vittima avrebbe acconsentito ad un incontro in un luogo isolato, in cui poi si è consumato l’inizio di una tragedia. Secondo le parole di Turetta, Giulia ha lottato, ha provato a sfuggire alle sue violenze, purtroppo però senza avere successo.

Turetta: “Non mi sono ucciso perché i miei genitori speravano di trovarmi vivo

Filippo Turetta, incalzato sui motivi per cui alla fine avrebbe deciso di non togliersi la vita, ha dichiarato di averci provato. Avrebbe “bevuto sambuca e fumato“, sperando che così il gesto fosse per lui più semplice ma poi non sarebbe riuscito ad andare fino in fondo. Avrebbe quindi aperto un motore di ricerca online, credendo di trovare lì motivazioni valide per togliersi al vita.

Si sarebbe imbattuto, invece, nelle dichiarazioni dei suoi genitori, che speravano che loro figlio fosse ancora vivo e che come tale fosse trovato. Quindi, il ragazzo avrebbe abbandonato il proposito di uccidersi e si sarebbe rassegnato all’idea del carcere.

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