La storia di Elisa Aiello, una ragazza di soli 26 anni, è difficile da raccontare, forse perché quello che racconta non è successo solo a lei, ma ad altre innumerevoli donne. Una storia che si ripete, dove i protagonisti non sono la giustizia e l’ascolto, ma spesso un sistema che sceglie, ogni giorno, ogni volta, di abbandonare chi trova il coraggio di chiedere aiuto. È il racconto di un’ingiustizia che si traveste da burocrazia, di decisioni che proteggono i carnefici e non le vittime, di denunce che si perdono letteralmente nel nulla.
“Ogni giorno mi chiedo cosa ho fatto per meritare questo, ma la verità è che non è colpa mia, ma di un sistema che non ascolta”, dice Elisa, con una voce che non trema più. Raccontare è un ulteriore atto di coraggio della giovane che ha deciso di parlare, nonostante la consapevolezza che le parole non basteranno.
Leggi Anche
L’inizio della fine di Elisa Aiello
La sua relazione, il suo inferno personale, inizia alla fine del 2022. Sembra tutto normale. Una pizza, una risata, un’innocua telefonata alla madre: “Mamma, ti scoccia se dormo dal mio ragazzo?”. Elisa non sapeva che quella notte avrebbe segnato l’inizio della sua prigionia.
“Ogni angolo era videosorvegliato. Non potevo nemmeno scegliere una serie tv senza che lui si infuriasse”, racconta Elisa. Nessuna discussione, nessun confronto: solo continue esplosioni di violenza fisica e psicologica. “Mi diceva che non valevo niente. Quando perdeva la pazienza, mi aggrediva con oggetti o a mani nude. In poco tempo aveva distrutto tutto di me”. Tutto questo è durato mesi.
Ma Elisa non è una vittima inconsapevole. Lei lo sa, lo ha sempre saputo: “Una frazione di secondo, non so come sia successo tutto ma è avvenuto in una frazione di secondo, così sono cominciate le violenze. C’è una parte di me che si è rifugiata in questa relazione perché venivo da una situazione da cui volevo scappare”. Lui lo sapeva e ha sfruttato quella fragilità, trasformandola in catene.
Elisa Aiello riesce a fuggire ma non è ancora in salvo
Ad aprile 2023, Elisa trova la forza di scappare, un familiare l’aiuta. “Ricordo di aver pianto per un’ora intera. Mi toccavo le mani per essere certa di essere davvero io, di essere ancora viva”. Ed è qui che compie quell’atto coraggioso che non tutte hanno la forza di intraprendere: correre dai carabinieri e sporgere denuncia. Dopo aver passato 6 ore dentro quelle quattro mura, Elisa ha pensato “ce l’ho fatta, sono libera finalmente”. Invece no. Smarrimento telematico.
La sua storia cancellata da un errore burocratico
Dopo mesi di attesa che qualcuno facesse qualcosa, scopre che c’è stato un errore burocratico: così lo chiamano. Una colpa senza colpevoli. La denuncia più importante, quella che descrive abusi, minacce, la presenza di una pistola in una casa videosorvegliata h24, semplicemente non esiste più. La storia, il coraggio e la forza di Elisa non esistono più. Davanti a un sistema del genere Elisa, però, decide di non mollare. Denuncia le persecuzioni e lo stalking e lo fa ancora, ancora e ancora. Esattamente tre volte tra il 2023 e il 2024, cercando sempre il coraggio di andare avanti. E ogni volta però, ottiene un carnefice che non si ferma, ma continua con appostamenti, messaggi minatori e violazioni delle misure restrittive.
Dai domiciliari all’obbligo di dimora
Gli arresti domiciliari disposti ad agosto 2024 vengono presto sostituiti con un blando obbligo di dimora e il divieto di avvicinamento di 500 metri. Elisa non viene informata tempestivamente della sostituzione delle misure, e il tracker elettronico, che avrebbe dovuto garantire la sua sicurezza, non viene attivato. “Come posso fidarmi della giustizia? Io vivo nella paura mentre lui cammina libero”, si chiede Elisa.
Michelangelo Conti, giurista e studente di criminologia, è stato accanto a Elisa fin dallo scoppio mediatico del suo caso, aiutandola a raccontare la sua storia: “Dal mio punto di vista è stata una decisione assurda scegliere una misura cautelare meno afflittiva rispetto al carcere. Parliamo di un soggetto pericoloso. Non lo dico io, lo dicono i giudici. E poi la questione del tracker? È possibile che nel 2024 non troviamo un tecnico per installarlo? E la denuncia smarrita? Non si può perdere una denuncia così. Questo non è solo inefficienza, è disumanità”, afferma con convinzione.
E in tutto ciò il sistema resta fermo, silente, indifferente. Quando Elisa scopre che lui non è più ai domiciliari, non è lo Stato a dirglielo un altro particolare che contribuisce a minare ulteriormente la fiducia di Elisa verso le istituzioni.
L’ultimo rifugio delle donne: i centri antiviolenza
Durante tutto questo disastro, tra la seconda e l’ultima denuncia, Elisa decide in autonomia di informarsi e cercare aiuto presso i centri antiviolenza: l’ultimo porto sicuro di una donna maltrattata che si è persa. Una piccola parentesi sui centri antiviolenza è doverosa. La situazione è critica: secondo il report 2023 dell’ISTAT, le donne che si rivolgono ai centri sono state più di 31.000, ma le strutture esistenti non bastano.
La Convenzione di Istanbul stabilisce che ci debba essere almeno un centro ogni 50.000 abitanti, ma in Italia ne mancano circa 220 per raggiungere lo standard. Questo Elisa ha potuto constatarlo con mano: “Sono andata da sola al centro antiviolenza, ne ho girati 2 o forse 3. Da alcuni sono dovuta andare via, sono talmente piccoli che non hanno le fondamenta per aiutarti davvero, nonostante l’immenso cuore di chi è volontario o ci lavora”. Alla fine, fortunatamente, trova un centro abbastanza grande in cui trova accoglienza per cinque mesi.
Elisa torna a casa
L’ultima denuncia nei confronti di quello che è stato il suo aguzzino, e che oggi è praticamente un uomo libero, risale a luglio 2024. La paura di essere trovata però, costringe Elisa a scappare di nuovo: “Ad agosto sono tornata in Calabria perché non mi sentivo sicura e sono andata via da Roma per questo”, ci dice con tono sconsolato Elisa. A gennaio dovrà di nuovo stare a Roma per l’udienza preliminare, durante la quale il Tribunale di Roma valuterà l’avvio del processo per atti persecutori, descritti nei fascicoli come “agiti con inusuale pervicacia” da parte del suo ex fidanzato.
Questa non è una storia isolata. La vicenda di Elisa si intreccia con un sistema che non solo è inefficace, ma che spesso abbandona le donne a combattere da sole: “Rimettere in libertà un uomo simile non è solo un rischio per Elisa, ma per ogni donna, ogni madre, ogni sorella. Il Codice penale è chiaro: applichiamolo e basta”, ricorda Michelangelo Conti.
Purtroppo, ciò che sembra semplice da fare, specialmente tutelare una vittima, in questi casi sembra impossibile. Questa è la storia di tutte e che riguarda tutti. Come scrisse perfettamente Serena Dandini, “abbandonare una donna significa esporla al rischio di essere uccisa” ed Elisa è ancora in pericolo, vittima duplice: del suo carnefice e di un sistema che non solo è cieco, ma colpevole anch’esso.
© Riproduzione riservata