A poco meno di due mesi dalle prossime, e forse, ultime udienze che lo vedranno protagonista, spuntano nuove ipotesi sul destino di Julian Assange – giornalista e attivista australiano fondatore di WikiLeaks. E’ rinchiuso dall’11 aprile 2019 nel carcere di Belmarsh a Londra in attesa di essere estradato negli USA per aver pubblicato documenti segreti riguardanti il governo americano e su fonti e informatori successivamente scomparsi.
A spiegare le tre possibili scenari futuri per Assange è stato Patrick Boylan, il quale spiega anche – ancora una volta – come il giornalista australiano non sia che un capro espiatorio tramite il quale Trump non fa altro che intimidire i giornalisti dal rivelare “segreti scottanti per l’amministrazione statunitense” – nel caso di Assange: gli Afghan War Logs, gli Iran War Logs e il Cablegate – nonostante la legge lo permetta.
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Prima ipotesi: l’estradizione
La prima delle tre ipotesi è per Boylan sarebbe l’estradizione negli USA. Gli avvocati di Assange avevano, infatti, fatto ricorso contro la sentenza del 6 giugno – nella quale era stato vietato al giornalista di fare appello al “si” di Priti Patel all’estradizione, ma ora la richiesta potrebbe essere rigettata. Qualora ciò accadesse Assange non potrebbe più far ricorso nel Regno Unito e verrebbe estradato negli Stati Uniti, dove lo attendono 175 anni in una delle carceri più duri del Paese.
L’unica sua speranza rimarrebbe comunque a quel punto la Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo di Strasburgo, anche se “per poter togliere di mezzo la Cedu e affermare l’indipendenza brittanica, il governo di Cameron e poi di Johnson hanno già da tempo preparato una legge che crea una ‘Carta britannica dei diritti umani’, sottraendo il Regno Unito alla giurisdizione di Strasburgo”. Nonostante la legge non sia stata ancora approvata, il Ministro Sunak sta spingendo fortemente per l’annullamento della legge 39 Cedu che permette di evitare l’estradizione nel mentre il caso viene esaminato.
Seconda ipotesi: accolta la richiesta di ricorrere contro l’Alta Corte
Seconda ipotesi sarebbe quella secondo cui, al contrario della prima, la richiesta di far ricorso contro la decisione dell’Alta Corte emessa lo scorso 6 giugno venga accettata.
Tuttavia, nonostante l’estradizione verrebbe automaticamente sospesa, “il prigioniero rimarrebbe rinchiuso in completo isolamento in una minuscola cella, 3 metri per 2, per la durata del suo nuovo ricorso: anche per anni. E, secondo il rapporteur Onu sulla tortura Nils Melzer, l’incarcerazione prolungata in quelle condizioni equivale a una forma di tortura psicologica”.
Terza ipotesi: annullamento richiesta di estrazione
Se la prima è pessimista e la seconda una vittoria parziale, la terza ipotesi proposta è sicuramente quella più ottimista. Riguarda infatti il tanto atteso, quanto sperato – sia da Assange e i suoi familiari e avvocati, sia dalle centinaia di persone che da 4 anni si stanno battendo per la sua liberazione – annullamento, da parte del presidente Joe Biden, della richiesta di estradizione negli USA. Secondo Boylan ciò potrebbe effettivamente accadere in relazione al fatto che “Biden è stato vice-presidente di Obama, il quale aveva sempre rifiutato di incriminare Assange, a causa delle conseguenze nefaste sul giornalismo investigativo e quindi sulla tenuta democratica del Paese”.
Finora però Biden ha fatto prendere le decisioni riguardo il caso ai suoi “falchi”, i quali cogliono a tutti i costi la testa di Assange per aver “mostrato la Cia per ciò che è: un organo di spionaggio non solo dei criminali, ma soprattutto dei semplici cittadini, come avviene in tutti i regimi autoritari”. In questo modo il presidente degli Stati Uniti non ha mai potuto fare nulla per liberare Assange, in quanto avrebbe significato “farsi nemici la Cia e i falchi del proprio partito, gli americani conservatori e i trumpiani, i quali utilizzerebbero quel perdono come prova della debolezza anti-americane di Biden”.
In ogni caso, numerosi deputati, democratici e repubblicani hanno chiesto al governo di ritirare le accuse contro il fondatore di WikiLeaks e sono pronti a manifestare il 20 e il 21 febbraio – giorni delle ultime due udienze – sia a Londra che davanti alle ambasciate diplomatiche di regno Unito e USA in Italia.
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