L’Italia è il peggior paese del G20 per i salari reali: -8,7% dal 2008

Secondo il rapporto Ilo i lavoratori migranti guadagnano il 26,3% in meno mentre il divario salariale di genere è attestato al 9,3%, la crescita dei salari nel 2024 non è bastata a compensare le perdite dovute al periodo di alta inflazione degli anni precedenti

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Una situazione salariale negativa nel lungo periodo è ciò che emerge dal Rapporto mondiale sui salari dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro. In Italia i salari reali sono inferiori di 8,7 punti rispetto a quelli del 2008, anno in cui il mondo è entrato nella recessione più profonda mai registrata dalla seconda guerra mondale.

La decrescita dei salari reali è crescita insieme all’inflazione: sono state registrate cadute del -3,3% nel 2022 e del -3,2% nel 2023. Per questo l’Italia registra il peggiore dei risultati raggiunti dagli Stati del G20, spiega Giulia de Lazzari, specialista sulle politiche salariali del Dipartimento dell’Oil sulle condizioni di lavoro e l’uguaglianza. Già l’Ocse aveva rilevato nel 2024 che, mentre i salari sono cresciti in termini reali nel 32,5%, in Italia la crescita è stata del solo 1%. Gli stipendi in Italia sono rimasti pressoché invariati per gli ultimi trent’anni.

Il gender gap e la condizione delle minoranze etniche

Le criticità però non si fermano qui, perché le disuguaglianze etniche incidono ancora. I lavoratori migranti, infatti, guadagnano in media il 26,3% in meno rispetto ai lavoratori nazionali. Il divario salariale di genere in Italia, riferito alla retribuzione oraria media, è tra i più bassi dell’Unione Europea, asserito al 9,3%. Un flebile miglioramento se si prende in considerazione che nel 2006 il gender gap toccava il 10,2%, ma se si guarda il quadro complessivo, il dato risulta ancora più basso perché in media le donne lavorano, rispetto agli uomini, un numero di ore inferiore.

Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, ha commentato questi numeri margine del convegno “Dal Green deal al Social deal“: “I dati dimostrano quello che noi sosteniamo da tempo. Bisogna recuperare la perdita del potere d’acquisto, questo lo si fa rinnovando i contratti, penso al contratto metalmeccanico, ai contratti del pubblico impiego, penso alle risorse già stanziate in manovra che potrebbero essere utilizzate da subito per rinnovarli, penso alla proposta che abbiamo fatto al governo di detassazione degli amenti contrattuali. Questi sono i filoni sui quali noi dobbiamo lavorare per recuperare quella perdita del potere d’acquisto“.

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