Hacker siciliano buca il Ministero della Giustizia: 46 magistrati spiati

L'avvocato dell'hacker ha dichiarato che se fosse stato un vero criminale "avrebbe potuto mandare veramente in tilt il sistema giustizia italiano ma non l'ha fatto", perché era solo ossessionato dal controllare le indagini sul suo conto

Redazione
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In questo momento storico l’Italia si sta scoprendo sempre più vulnerabile nel campo della sicurezza informatica, soprattutto per quanto riguarda le istituzioni, come dimostrano il caso dossieraggio a cui indaga la procura di Perugia e l’ultimo caso affidato a quella di Bari. E a questi si aggiunge anche il caso di Carmelo Miano, l’hacker siciliano 24enne che è stato arrestato all’inizio di ottobre dalla Polizia Postale a Roma per aver bucato il sistema informatico del Ministero della Giustizia, della Guardia di Finanza e di società come Tim e Telespazio. Secondo le ultime novità l’hacker era riuscito a ottenere le password di 46 pm.

Hacker
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Le richieste dell’avvocato dell’hacker

Miano era riuscito a entrare nel sistema di sicurezza del Ministero della Giustizia ottenendo l’intero database utenti, dal quale aveva estrapolato le password di 46 magistrati inquirenti di tutta Italia, tra cui quelle dei procuratori di Napoli Nicola Gratteri e di Perugia Raffaele Cantone. Una vicenda che ha “incuriosito e inquietato” quest’ultimo, che attualmente si sta occupando del caso dossieraggio, l’indagine sugli accessi abusivi alle banche dati in uso alla Direzione nazionale antimafia da parte di Pasquale Striano e nella quale è indagato, oltre all’ufficiale della Gdf, anche l’ex magistrato Antonio Laudati.

L’avvocato difensore dell’hacker, Gioacchino Genchi, ha depositato nella giornata di ieri una memoria al Tribunale del Riesame di Napoli, in cui si spiega che Miano ha avuto accesso “ai server e alle email della Guardia di Finanza, della Tim, della Leonardo e di altre aziende che operano nel settore delle infrastrutture informatiche istituzionali”, ma anche alle email personali di diversi magistrati inquirenti, tra cui quelli di Gela, Brescia, Perugia, Roma e Napoli.

L’avvocato ha inoltre richiesto la scarcerazione e il trasferimento degli atti di indagine presso la Procura di Perugia, dato che l’hacker aveva avuto accesso anche alle email dei magistrati romani che avevano indagato sul suo conto. La Procura di Napoli, nel corso dell’udienza al Riesame durata poco meno di un paio d’ore, ha però rifiutato entrambe le richieste.

Dopo l’udienza Genchi ha parlato ai giornalisti e nonostante abbia sottolineato le capacità del suo assistito, ha incolpato per la vicenda soprattutto le vulnerabilità del sistema di sicurezza del ministero: “Ho quasi la sensazione che le porte del sistema informatico che Miano ha utilizzato siano state lasciate aperte per altre incursioni, molto più gravi e preoccupanti di quelle che ha commesso il ragazzo”.

E ha poi aggiunto che Miano aveva a disposizione tutte le email usate per trasmettere le notizie di reato, gli ordini di fermo, le misure cautelari e i decreti di intercettazione di tutte le procure e le Dda d’Italia. Quindi se fosse stato un vero criminale “avrebbe potuto mandare veramente in tilt il sistema giustizia italiano ma non l’ha fatto”, perché le uniche cose che gli interessavano erano i dati che lo riguardavano, “ossessionato e preoccupato com’era delle indagini sul suo conto”.

La Procura di Napoli non è invece d’accordo con questa interpretazione della vicenda, perché Miano, secondo le sue ipotesi, avrebbe invece avuto l’obiettivo di acquisire dati sensibili da vendere, magari anche con la sollecitazione di un committente. Quindi la Procura ha chiesto ai giudici del tribunale del Riesame di Napoli la conferma della detenzione in carcere.

Criminalità o ossessione per le indagini sul suo conto?

Se per il suo avvocato l’hacker agiva solo per tenere sotto controllo le indagini sul suo conto, per alcuni Miano è un vero e proprio criminale. Infatti il giovane siciliano risulta coinvolto in una serie di attività criminali con il vice-sovrintendente di polizia Ivano Impellizzeri, in servizio a Gela. IrpiMedia fa riferimento a un’indagine condotta dalla procura di Brescia nel 2020, secondo cui i due avrebbero fatto parte della gestione di Icarus Market, una piattaforma per la vendita illegale di droga e armi di piccolo taglio.

Inoltre una fonte che ha seguito il caso ha rivelato al giornale online Key4biz che l’hacker avrebbe avuto un’ossessione per la ricerca del ‘Berlusconi market’, uno dei più grandi black market del Dark Web esistito in Italia, smantellato con l’operazione “Darknet Diablerie” condotta da Europol, FBI e Polizia Postale. E sarebbe questa la ragione per cui avrebbe attaccato il Nucleo Speciale della Guardia di Finanza, perché “ha le mani sui server del Berlusconi market, i server sono blindati dal 2021 e i dati sono indecifrabili, perché protetti da crittografia”.

Miano spiava continuamente i finanzieri con la speranza che un giorno fossero riusciti a decriptare i server, così da poter accedere al Berlusconi market. “Questo tesoro è una stringa di dati. Miano sognava di entrare in possesso di questa stringa di dati per diventare il proprietario del malloppo. Vedremo se l’arrestato confesserà ai giudici questa versione” è scritto sul giornale online.

Infine c’è da indagare il rapporto di Carmelo Miano con la Russia. Secondo i magistrati della Procura di Napoli, infatti, l’hacker sarebbe entrato più volte al Russian Market, un “e-commerce del Criminal Haking dedicato alla vendita illegale di informazioni sensibili come password, dati bancari e carte di credito particolarmente orientato all’Italia”.

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