La lotta delle comunità Lgbtq+, delle comunità non binarie e transgender non si arresta mai. Mancano ancora troppi diritti e in molti casi addirittura il riconoscimento di una condizione che per ora in Italia è ritenuta ancora una patologia. Ciò che viene definito a livello medico come “disforia di genere” porta con sé numerosi stigma e l’impossibilità per chi ha iniziato un percorso di transizione di inserirsi nella società nel modo in cui più ritiene giusto.
Le battaglie per la cosiddetta “carriera alias“, ovvero la possibilità di entrare in un contesto lavorativo venendo interpellati e riconosciuti con il genere in cui ci si identifica, anche se non è quello di nascita, proseguono di anno anno, portando con sé a volte grandi vittorie e troppo spesso numerose sconfitte. Sono ancora molti i punti all’ordine del giorno per queste comunità, che quotidianamente cercano di sensibilizzare e di ottenere qualcosa che in molti altri Paesi è già un diritto da anni.
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In Italia è ancora necessaria una legge avanzata che riconosca i percorsi di autodeterminazione di genere, senza che siano necessari costosi iter giudiziari e percorsi di diagnosi e patologizzazione. Le lotte principali riguardano in particolare la necessità di depsichiatrizzare l’esperienza transgender, il riconoscimento delle famiglie omotransgenitoriali, l’approccio affermativo delle persone in età evolutiva con varianza di genere e il diritto ad esistere alla pari in qualsiasi contesto.
Una giornata internazionale per non dimenticare chi è ancora invisibile
Affrontare un percorso di transizione di genere in Italia può rivelarsi un percorso arduo, non solo a livello medico, ma soprattutto a livello sociale e culturale. Riconoscersi come una persona che non si identifica più nel proprio sesso di nascita può aprire le porte ad un disagio psico-fisico incomparabile e troppo spesso dismesso dal nostro Paese. Mancano sportelli di ascolto e di sensibilizzazione che insegnino l’importanza della solidarietà e del rispetto.
In Italia, così come in ancora troppi Paesi nel mondo, non conformarsi a ciò che la società ritiene “giusto” e “corretto” può improvvisamente trascinare un individuo in una spirale di solitudine e alienazione. Troppo spesso chi vive sulla propria pelle situazioni legate alla propria sessualità, non più riconoscibile nella semplice etichetta dell’eterosessualità, si ritrova costretto a rifugiarsi tra chi vive la sua stessa quotidianità. Luoghi sicuri, protetti, dove il rispetto e la comprensione diventano i capisaldi di rapporti che durano tutta la vita. A mancare però è il riscontro del resto della società, con il pericolo di divenire veri e propri reietti, dimenticati e troppo spesso esclusi.
Nasce per questo la Giornata Mondiale della visibilità Transgender. Lo scorso anno l’ashtag della Giornata era stato #NonTnascondere, un messaggio inviato a chi ancora oggi prova vergogna o paura ad uscire allo scoperto, a mostrarsi per chi è realmente. Una Giornata nata da un’idea dell’attivista trasngender Rachel Crandall che nel 2009 si rese conto che non esistevano giornate specifiche per la visibilità della comunità transgender. Una mancanza immediatamente risolta. Nel 2014 questa Giornata venne adottata dagli attivisti Lgbt+ a livello internazionale.
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