Sulla Giustizia tributaria la Commissione europea ha puntato i riflettori sull’Italia a causa di alcune presunte discriminazioni nei confronti dei giudici fiscali e delle norme nazionali, che potrebbero non essere conformi agli standard dell’Ue. “La Commissione ha recentemente ricevuto diverse denunce da parte dei giudici fiscali non professionisti” ha infatti dichiarato Nicolas Schmit, Commissario europeo per il Lavoro e gli Affari Sociali, rispondendo alla denuncia partita per prima da Aldo Patriciello (FI, Ppe) in un’interrogazione parlamentare.
Schmit ha poi sottolineato che i querelanti “sollevano questioni di discriminazione riguardo alle condizioni di lavoro, compresa la retribuzione, le ferie annuali e la protezione previdenziale“, per questo la Commissione Ue “sta attualmente valutando la conformità della legislazione nazionale riformata con i requisiti del diritto dell’UE“. Nel caso in cui i dubbi si rivelassero fondati, e quindi venissero riscontrate mancate “conformità al principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo parziale rispetto a quelli a tempo pieno comparabili“, verrebbe inviata una lettera di messa in mora e verrebbero automaticamente aperti i procedimenti per violazione.
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Giustizia tributaria, la “campagna di fango” contro i giudici
La parte ordinamentale della L. 130/2022 (riforma della giustizia tributaria) presenta diverse gravi criticità, da rimuovere. Va innanzitutto precisato che il motivo di tale riforma trae origine da un’ingiusta “campagna di fango” appositamente scatenata da taluni media, (nel periodo 2021-2022), nei confronti degli attuali giudici tributari.
Pur riconoscendone l’efficienza, (oggi mediamente si ottengono in meno di due anni complessivi le sentenze sia di primo che di secondo grado, contro i cinque della giustizia civile), ad essi si ascrivevano errori, asseritamente attestati dall’annuale annullamento, da parte della Cassazione di circa la metà delle sentenze emesse dalle commissioni tributarie regionali (II° grado). Senonché, in base agli stessi dati ufficiali pubblicati dal MEF, risulta in realtà che mediamente, ogni anno, la Cassazione, soprattutto a causa dei propri ondivaghi orientamenti, ne annulli, totalmente o parzialmente, all’incirca il 10%.
È pertanto evidente che il dato diffuso da tali media, sul quale si è basato il Legislatore nell’assumere le proprie decisioni, risulti matematicamente falso, oltre che privo di indicazione dei motivi di annullamento. Posto che in genere le campagne di fango vengono organizzate per eliminare persone poco gradite da sostituire con soggetti più graditi, sorge pertanto il dubbio che gli attuali giudici tributari siano solo rei di aver garantito terzietà nei propri giudizi, virtù forse poco gradita dal MEF, che da un lato “controlla” le corti tributarie e dall’altra è parte in causa nella quasi totalità delle controversie da questi ultimi decise.
Giustizia tributaria, la mancata stabilizzazione degli attuali giudici
A riguardo sarebbe infatti stato logico attendersi la previsione della stabilizzazione (facoltativa) degli attuali giudici tributari, (vedasi creazione del TAR), che da anni depositano sentenze in nome del Popolo Italiano, mentre il Legislatore con la L. 130/2022 – nell’estate del 2022, a camere sciolte – ha voluto prevedere l’immissione di giovani neolaureati nelle funzioni di magistrato tributario – con trattamento economico equiparato a quello degli altri magistrati – escludendo immotivatamente gli attuali giudici che pur rappresentano una risorsa preziosa, adeguatamente formata ed immediatamente disponibile.
La riprova della validità dell’operato degli attuali giudici tributari è peraltro indirettamente attestata da due elementi fondamentali: la legge ha previsto che saranno loro sia a continuare a costituire l’ossatura della Giustizia Tributaria sia a formare i nuovi magistrati tributari, (il tutto però sempre in maniera semigratuita). Tale decisione sarebbe illogica ove essi realmente non possedessero le competenze necessarie allo svolgimento delle proprie funzioni.
Peraltro gli attuali giudici tributari, da sempre, hanno garantito la massima efficienza operativa: le parti infatti ottengono mediamente i giudizi sia di primo che di secondo grado in circa due anni (nella giustizia civile servono circa cinque anni). La L. 130/2022 è dunque caratterizzata, tra le altre, dalle seguenti rilevanti criticità. La prima è rappresentata dal fatto che almeno per una dozzina di anni la Giustizia Tributaria sarà gestita sia da “magistrati” sia da “giudici”, che svolgeranno identiche funzioni pur con diritti e retribuzioni estremamente diversi; tale iniquità genererà necessariamente pesanti frizioni interne che non potranno che avere conseguenze negative sull’amministrazione della Giustizia.
La seconda, ancor più grave, è che la riforma viola conclamati principi giuridici eurocomunitari, (i giudici, anche eventualmente onorari, sono tutti dipendenti pubblici e ad essi vanno garantiti i medesimi diritti economici, previdenziali ed assicurativi), per il mancato rispetto dei quali l’Italia ha già ricevuto un ultimatum dalla C.E., (vedasi il caso degli onorari di Tribunale), alla quale rifiuta di adeguarsi.
Le indicazioni della Commissione europea
Alla luce di quanto sopra appare opportuno prevedere la facoltativa stabilizzazione degli attuali cd. “laici” (giudici tributari provenienti dalle professioni) già concesso ai “togati” (provenienti dalle altre magistrature), senza limiti di anzianità di servizio, recependo in merito le precise indicazioni che lo Stato italiano ha già ricevuto dalla Commissione Europea in merito ai giudici onorari.
È inoltre errata la previsione, elaborata dal MEF, della sufficienza di soli 576 magistrati tributari, di cui 448 in primo grado e 128 in secondo grado. Prendendo a base l’anno 2021, (anche caratterizzato da rallentamenti dovuti alla pandemia), in secondo grado sono state depositate 58.690 sentenze, per cui ognuno dei 128 magistrati previsti dovrebbe produrre 458 sentenze annue (le numeriche previste per i magistrati di primo grado non sono molto inferiori).
Appare dunque evidente che nessun magistrato avrebbe in realtà tempo e modo di studiare adeguatamente le complesse ed articolate questioni oggetto delle proprie decisioni. Per tale ragione risulta pacifico che il numero previsionale dei futuri magistrati a tempo pieno vada quantomeno raddoppiato, o meglio triplicato, a concreta garanzia del diritto di difesa dei contribuenti.
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