Caso Dal Corso, la sorella: “Un testimone mi ha detto che è stato ucciso”

Secondo la ricostruzione fatta dal testimone a Marisa Dal Corso il carcere avrebbe modificato la relazione, cambiato medico legale, e vestito Stefano con altri indumenti non sporchi di sangue

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L’ho sempre saputo che non era un suicidio e ad oggi ne ho un’ulteriore conferma. Il testimone che mi ha chiamata mi ha detto che l’hanno ucciso di botte: con la prima manganellata gli hanno spaccato la testa, con la seconda l’avrebbero ammazzato spezzandogli il collo” così ha spiegato Marisa Dal Corso a proposito della telefonata intercorsa con un ulteriore testimone, che avrebbe smentito che la morte di suo fratello, avvenuta in cella nell’ottobre 2022, sarebbe avvenuta per impiccagione.

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Per il carcere di Casa Massima di Oristano il detenuto romano del Tufello si sarebbe tolto la vita: il caso è stato archiviato come suicidio. Stefano avrebbe compiuto il gesto estremo con un lenzuolo poco prima del suo fine pena. La storia già dai suoi albori faceva acqua da tutte le parti: prove che non tornavano, racconti confusi e lettere scritte dallo stesso detenuto, che affermava di stare bene ed essere pronto a ricominciare la sua vita fuori dal carcere e riabbracciare la sua bambina.

Adesso le parole di questo nuovo testimone saranno esaminate dai pm che stanno indagando sulla vicenda. La procura accerterà la veridicità o meno di quanto dichiarato.

La telefonata tra Marisa Dal Corso e il testimone

Il mio avvocato ha ricevuto ad ottobre una mail dove una persona le ha confessato che aveva qualcosa da dire sulla morte di mio fratello. L’ho contattato e mi ha spiegato essere un agente di polizia penitenziaria esterna al carcere ma di avere accesso alla struttura” ha iniziato a spiegare Marisa a proposito dello scambio di informazione tra lei e il testimone segreto. L’uomo, durante la conversazione telefonica, le ha confessato che era presente durante l’omicidio del fratello e di aver assistito al pestaggio messo in atto da agenti del carcere. “Perché non sei intervenuto?” gli ha chiesto la sorella, “mi avrebbero ucciso” ha risposto lui.

Il testimone ha dichiarato che gli agenti che hanno compiuto quel massacro sarebbero noti all’interno della struttura con il nome di “squadretta punitiva” e che sono soliti ubriacarsi e torturare i detenuti di Oristano. Tutti hanno paura di loro, compreso l’agente stesso che, per tutelarsi, ha dichiarato a Marisa Dal Corso di girare con una webcam sulla divisa per scagionarsi e dissociarsi da qualsiasi loro azione violenta. Se esiste un filmato, ancora non è stato visionato dalla sorella di Stefano Dal Corso. Anzi, la stessa ha precisato di non ha più ricevuto chiamate da parte del testimone o altre prove.

Marisa Dal Corso: “Stefano avrebbe visto cose che non avrebbe dovuto vedere”

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Ma perché Stefano avrebbe ricevuto quel trattamento letale da parte degli agenti? “Mio fratello è stato picchiato a morte perché ha visto cose che non doveva vedere. Prima di tutto – spiega Marisa – Stefano non sarebbe morto il 12 ottobre alle 14:30, bensì la sera prima, l’11 ottobre. Stava andando in infermeria per prendere un farmaco ed ha assistito ad un rapporto sessuale tra due agenti. Immediatamente l’hanno rispedito in cella e, in seguito sarebbe stato richiamato dagli stessi e richiuso in un’altra stanzetta per massacrarlo di botte. Hanno iniziato a manganellarlo e lasciargli ferite sulla schiena. Con la prima gli hanno aperto la testa e con la seconda l’hanno ucciso”.

Infatti, osservando le poche e insufficienti fotografie del cadavere di Stefano, tra l’altro vestito, non c’è traccia di uno scatto che riguardasse la schiena. Gli agenti, stando alle informazioni del testimone, dopo averlo ucciso, per insabbiare l’omicidio, l’avrebbero trascinato fino alla cella con un lenzuolo stretto al collo, per poi simulare l’impiccagione.

Marisa Dal Corso: “Ho fatto domande specifiche al testimone per capire se dicesse la verità”

La sorella, per capire se quel racconto fosse veritiero, ha iniziato a fare domande specifiche al testimone che le ha spiegato: “Gli indumenti di tuo fratello erano sporchi di sangue e su quelli intimi ci sarebbero le impronte di chi ha compiuto quel massacro. Stefano è stato rivestito con altri indumenti della Caritas prima di venire fotografato senza vita sul pavimento della sua cella”.

Anche il mistero dei vestiti addosso a Stefano non tornava, specialmente quelle scarpe: “Io l’avevo detto che qualcuno l’ha vestito per fargli le foto da morto. Dissi subito che le scarpe non erano sue ed erano di un numero più grande. Inoltre, sono allacciate e mio fratello le scarpe non le allacciava mai. Il testimone mi ha detto che gliele avrebbe messe il parroco. Perché metterle prima del funerale? Perché vestirlo per le foto? La maglietta che gli hanno messo indosso serviva a coprire i lividi sul corpo?”.

Continua a spiegare Marisa Dal Corso: “Il testimone mi ha descritto per filo e per segno la biancheria intima di mio fratello. A me mancano le sue mutande di Dolce e Gabbano con una striscetta d’oro. Il carcere non mi ha ridato l’intimo e neanche la sua canottiera”.

Le altre testimonianze

Sulla base delle testimonianze di alcuni detenuti del carcere di Oristano a luglio dello scorso anno sono state riaperte le indagini. Sulla vicenda è stato ascoltato anche il garante dei detenuti Mauro Palma. È vero, sembrerebbe che si siano delle incongruenze tra le testimonianze dei detenuti e quest’ultima rilasciata dal super testimone. La certezza della sorella di Stefano Dal Corso resta ferma: secondo lei non si tratta di suicidio.

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Io arriverò alla verità, costi quel che costi. Continuano a respingere l’autopsia, anche due settimane fa ci è stata negata. Più mi respingono – conclude Marisa – più mi incoraggiano a far uscire la vera storia di Stefano. Il carcere ha ammesso, secondo me, la sua colpa. La prova della loro colpevolezza sta nel fatto che questa dannata autopsia non la vogliono fare, altrimenti verrebbe fuori tutto lo schifo che è successo lì dentro. Ne sono sicura”.

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