Caso Regeni, Egitto vieta ai testimoni di andare al processo

Un nuovo fermo dal Cairo per il caso di Giulio Regeni: "l'ostruzionismo che anche per le argomentazioni che abbiamo sentito dal pubblico ministero, è del tutto illegittimo" afferma il legale, Alessandra Ballerini

Redazione
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Nei giorni scorsi, è emerso nell’udienza del processo a carico di quattro 007 accusati di avere sequestrato, torturato ed ucciso Giulio Regeni, una nota della Procura Generale del Cairo in cui si afferma che è “impossibile eseguire le richieste di assistenza giudiziaria” per fare ascoltare quattro testimoni egiziani nel processo.

Il procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, aveva infatti citato per l’udienza di ieri quattro testimoni: il sindacalista Said Abdallah, la coordinatrice di un Centro per i diritti economici e sociali, Hoda Kamel Hussein e Rabab Ai-Mahdi, la tutor di Regeni al Cairo.

Caso Regeni: la testimonianza di Massari

Ricordo di avere ricevuto intorno alle 23.30 una telefonata di un professore italiano che mi disse di non avere più notizie di lui da alcune ore e che non si era presentato ad un appuntamento che avevano quella sera e il cellulare risultava spento. Immediatamente avvisai il capocentro dell’Aise in ambasciata che si attivò con i suoi contatti alle quali, però, non risultava alcuna notizia su Regeni” ha affermato.

Giulio Regeni
Giulio Regeni

Il 2 febbraio Massari venne ricevuto dal ministro degli Interni egiziano. “Non avemmo alcuna notizia sulle sorti di Giulio ma il ministro fece dei riferimenti alle videocamere della metropolitana del Cairo dalle quali non risultava alcun passaggio di Giulio la sera del 25 gennaio“. La notizia del ritrovamento del corpo fu comunicata all’ex ambasciatore il giorno successivo dal viceministro degli esteri egiziano. “Ricordo poi che ho ricevuto alcuni messaggi dalla tutor di Regeni presso l’università americana al Cairo. Fu lei a dirimi dove si trovava il corpo, mi consigliò di recarmi lì e di insistere affinché l’autopsia non venisse effettuata in Egitto“, ha aggiunto.

Da quel momento, Massari ha attivato ogni canale a sua disposizione, contattando persone della società civile egiziana, in particolare quelle legate alla difesa dei diritti umani. Tutto portava a ritenere che Giulio fosse stato in qualche modo fermato dalle autorità egiziane, “che ci fosse qualcosa legato alla sua attività di ricerca che poteva aver dato fastidio“. In passato c’erano stati degli episodi di sparizioni di connazionali risolti poi dopo pochi giorni: “Venivano ritrovati dopo alcuni giorni. Ricordo per esempio un ingegnere che svolgeva al Cairo attività di ricerca e un giorno venne arrestato perché si era spinto in una zona militare. Poi venne rilasciato“.

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