Blitz anti-pedopornografia: in manette 3 uomini, tra questi un prelato

Le indagini sono durate circa sei mesi ed hanno sfruttato l'azione di un "giustiziere" che avrebbe pubblicato dati personali riguardanti i frequentatori anonimi di siti e chat in cui era possibile reperire materiale pedopornografico

Redazione
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Ventinove persone sono state indagate e tre sono state arrestate con le accuse di divulgazione e pubblicizzazione di materiale pedopornografico, scambiato con diversi utenti sul cosiddetto “web nero“. L’indagine, condotta dalla Polizia postale sotto il coordinamento della Procura di Torino, ha coperto l’intero territorio italiano, con l’obiettivo di sgominare la rete di sfruttamento di minori, che era stata portata alla luce dall’azione di un giustiziere“, dedito proprio alla pubblicazione su gruppi ristretti di informazioni e tracce informatiche recuperate nel corso delle interazioni con gli altri uomini appartenenti a questa cerchia.

Lo stesso giustiziere, però, sarebbe stato dedito alle attività pedopornografiche e quindi inserito nelle indagini. Il Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica di Torino ha portato avanti le indagini per circa sei mesi, anche grazie all’utilizzo di agenti sotto copertura, il cui compito era quello di entrare in contatto con i frequentatori dei siti peer to peer in cui era possibile reperire il materiale pedopornografico. Grazie a queste indagini è stato dunque possibile aprire un fascicolo contenente ben 32 indagati, tra cui un prelato e un appartenente alle forze dell’ordine che si trovano in carcere.

Pedopornografia, linguaggi in codice e chat private per gli scambi di foto e video

Secondo quanto raccolto dagli inquirenti, sembrerebbe che gli indagati utilizzassero piattaforme piuttosto discrete per entrare in contatto con altri uomini e procedere allo scambio e alla pubblicizzazione di materiale pedopornografico. Gli utenti coinvolti avrebbero utilizzato identità false o strumenti che avrebbero garantito loro l’anonimato ed erano soliti chattare con molta discrezione, anche utilizzando linguaggi in codice proprio per evitare di essere scoperti dalla polizia postale.

In questo senso, quindi, si è rivelata fondamentale la presenza di questo “giustiziere” che avrebbe in qualche modo coadiuvato le indagini grazie alla pubblicazione delle informazioni personali sugli altri frequentatori di questi siti. Inoltre, affinché tutti gli utenti coinvolti fossero individuati, sono stati condotti accertamenti che hanno permesso di ripercorrere a ritroso la cronologia di tali utenti per comprendere se avessero avuto contatti con il “giustiziere“. Il procedimento ha quindi previsto il sequestro della strumentazione elettronica nelle mani degli indagati.

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