La transizione energetica ha poco o nulla a che vedere con l’autonomia energetica o con la ricerca di indipendenza energetica. Dopo un letargo decennale, il rischio è innescare conseguenze sistemiche fatali e di lungo periodo
Secondo la geoenergia, termine coniato anni fa, la transizione energetica (TE) è l’interazione a pesi ponderali (cioè dipendente e divergente dai diversi sistemi-Paese, interessi nazionali e multipolari, ecc.) tra obiettivi/impegni climatico-ambientali su scala globale, pan-regionale e/o nazionale, presenza nell’innovazione tecnologica connessa al grado di sostenibilità, e sicurezza energetica relativa.
In questa triade strategica, le fonti energetiche o, meglio, la modellazione di un corretto mix energetico assume un ruolo vitale. Pertanto, la transizione energetica ha poco o nulla a che vedere con l’autonomia energetica o con la ricerca di indipendenza energetica. Il solo crederlo o adottare misure atte a tali obiettivi rischierebbero di innescare conseguenze sistemiche esiziali e di lungo periodo. L’Italia ha un sistema energetico sviluppatosi negli ultimi tre-quattro decenni che maggiormente la espone ai riverberi dei mutamenti geopolitici e shock contingenti.
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È un sistema vulnerabile principalmente lungo il vettore della sicurezza energetica relativa, cioè come interazione tra mix di fonti di produzione e sistema infrastrutturale, rapporto import/export e domanda/offerta, flussi e rotte di approvvigionamento, interessi geoenergetici nazionali allineati alle scelte di politica estera ed in sintonia con il ruolo e il rango che il Paese ha nel quadro delle relazioni internazionali.
Guerra In Ucraina e crisi energetica fattori indipendenti in termini di geopolitica energetica
Geopolitica energetica, sembrano essersi tutti svegliati da un letargo decennale. Si sostiene che l’attuale conflitto in Ucraina abbia provocato una crisi energetica che avrebbe colpito l’Italia in maniera più dura rispetto agli altri Stati e che pertanto andrebbe rivisto l’apparato energetico nazionale puntando sull’autonomia e l’indipendenza nella produzione di energia, soprattutto di elettricità, staccandoci dal nemico attuale.
Si tratta di posizioni piuttosto vaghe in grado però di far breccia sulla massa che non ha dimestichezza dell’argomento. Beninteso, lo stesso vale quando si dice che l’Italia è oggi l’unico Paese al mondo che importa circa il 95% del gas naturale (75 miliardi di metri cubi l’anno), di cui circa il 38% dalla Russia, e con cui produce il 50% dell’elettricità.
Se è corretto a livello scolastico, non è certamente adeguato in termini di geopolitica energetica e, soprattutto, di geoenergia applicata alla transizione energetica. La geopolitica energetica ci dice che, mentre le relazioni politiche UE-Russia hanno spesso vissuto peggioramenti a gradazioni diverse secondo la crisi contingente (dalla Jugoslavia, alle Primavere Arabe, alla Crimea, ad oggi), il rapporto energetico UE-Russia ha ben resistito e anzi si è evoluto con il mutare delle condizioni del contesto. Ciò perché il gas, aldilà dei numeri e delle percentuali, ha creato collegamenti panregionali e multipolari ad hoc e alleanze e partnership industriali e geoeconomiche.
Tali collegamenti non rincorrono le emergenze per loro stessa natura tecnico-strutturale. La dimensione è diventata poi nel tempo strategica se si considera che le risorse energetiche possono cambiare le relazioni tra i Paesi solo nella misura in cui le già esistenti condizioni lo permettano. Il gas naturale lo è ancora di più. Il suo sviluppo richiede anni di negoziazione per arrivare ad accordi di lungo periodo tra le parti. Pertanto, il gas necessita di una buona stabilità a monte degli ambienti politico ed economico. Solo così il gas è un facilitatore delle precondizioni. Diversamente si rischia di cadere dalla padella alla brace.
La fretta del Governo italiano di sostituire il gas russo
Il Governo Italiano nella fretta di sostituire il gas russo, cosa quasi impossibile nella sua interezza, ha optato per un’immediata diversificazione delle rotte gasiere in Paesi più o meno amici, anche se non geopoliticamente stabili: Algeria, Libia, Mozambico, Angola, Azerbaijan, Qatar aumentando la dipendenza geopolitica da multi-Paesi di transito quali Turchia, Paesi Mediorientali, Balcanici e Africani.
La derussificazione del fossile ha prevalso sulla decarbonizzazione sistemica. Il Governo Italiano non poteva permettersi di allungare i tempi di negoziazione e di iniziare a scegliere di diversificare le fonti energetiche. Cose che andranno necessariamente fatte nel breve periodo, anche a livello di Unione Europea, appena l’emotività della politica estera calerà. La TE in Italia dovrà tenerne conto e, in parallelo, modellizzare un mix di fonti adeguato nel rispetto della suddetta triade clima/ambiente – sviluppo tecnologico/prezzo – sicurezza in modo pragmatico e senza gli inquinamenti del catastrofismo ambientalista e del dogmatismo antiscientifico.
Non è un caso allora che davanti al rischio dei cambiamenti climatici, alla tendenza agli shock naturali ed artificiali dei fossili con conseguenti aumenti dei costi dei combustibili (fuel-intensive) e l’insicurezza lungo la catena d’approvvigionamento energetico, l’energia nucleare sia ritornata nelle agende politico-industriali a livello internazionale, insieme ad una politica per l’efficienza energetica e alle fonti rinnovabili (in primis, eolico e solare).
Ruolo attivo dell’energia nucleare nella transizione energetica
L’energia nucleare ha tutte le caratteristiche per giocare un ruolo attivo nella transizione energetica. È la fonte primaria che meglio si integra con le fonti rinnovabili. Sono entrambe le fonti più verdi (emissioni di CO 2 equivalenti per kWh prodotto) e le più sicure (decessi per unità di energia prodotta).
Il nucleare è continuativo e ad alta % di fattore di capacità: produce calore ed elettricità senza sosta per oltre 8.000 ore l’anno (non dipende dal momento della giornata e dalle condizioni esterne); le rinnovabili sono intermittenti e a bassa % di capacità: producono elettricità (non calore, cioè energia termica fondamentale per il comparto industriale) quando le condizioni meteo lo permettono (quindi non sono controllabili dall’uomo) e per circa 1.300-1.400 ore l’anno in Italia.
Maggiore è il fattore di capacità e maggiore è il grado di affidabilità di una fonte. Il nucleare soddisfa strutturalmente il fabbisogno di base (baseload) di un Paese, ovvero la potenza minima che è necessario fornire in modo continuo ad un sistema elettrico; le rinnovabili non possono per loro natura e richiedono l’integrazione di soluzioni continuative cioè di riempire il vuoto lasciato dalle rinnovabili per la sicurezza di uno Stato. Il vettore climatico-ambientale ci chiede di rinunciare al carbone e al petrolio almeno nel settore elettrico.
Rimangono gas, idroelettrico e nucleare come fonti baseload. L’idroelettrico è saturo. Il gas deve avere una riduzione della quota di impatto sistemico sia per le scelte di politica internazionale in atto sia perché non è solo la geo-rotta della fonte ad essere uno dei problemi cruciali ma anche l’eccessiva dipendenza da una singola fonte, peraltro maggiormente inquinante.
L’energia nucleare è ad alta densità energetica e pertanto richiede un uso del territorio trascurabile; le rinnovabili hanno bassa densità energetica e sono land-consuming. Il nucleare non deve essere tutto prodotto su territorio nazionale, ma può essere importato dai Paesi vicini grazie alle interconnessioni di reti e sistemi di immagazzinamento. Ciò significa che il nucleare, mentre si aspettano i circa 9-10 anni per mettere una centrale nucleare in esercizio commerciale, può essere introdotto sotto forma di elettricità dall’estero migliorando i vettori della geoenergia e permettendo una transizione energetica stabile, strutturale e scientifica in un’ottica di cooperazione panregionale e meno dipendente dal transito.
Nucleare e rinnovabili, se gestiti correttamente, aprono allo sviluppo di filiere occupazionali ed industriali nazionali in grado di rispondere alle sfide tecnologiche del futuro in campo energetico. Essere presenti lungo il vettore dell’innovazione tecnologica è cruciale per il nostro futuro. Il nucleare, come appare evidente, non è sostitutivo ma complementare alle fonti rinnovabili.
La parola passa ora ai decisori politici.
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