Venerdì scorso la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, insieme agli altri leader dell’opposizione e il segretario della Cgil, ha depositato alla Corte di Cassazione a Roma il quesito referendario con cui si vorrebbe abrogare la riforma sull’Autonomia differenziata. Una sfida a cui conseguono tanti punti interrogativi, mossi in parte dagli stessi esponenti dem.
Primo tra tutti quello sul raggiungimento del quorum, a cui la Schlein risponde: “Ci sono sconfitte tecniche che possono diventare vittorie politiche“. C’è chi, nel suo partito, solleva dubbi sull’opportunità di impegnarsi in prima linea in un referendum “perdente” come quello sull’Autonomia differenziata, appena approvata.
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Per molti esponenti del Pd sono consapevoli che raggiungere il quorum della metà più uno dei votanti è un duello non da poco: occorrono 25 milioni di voti, il doppio dei voti delle opposizioni. E l’ultima volta che un referendum ha raggiunto il quorum risale al 2011 sulla questione dell’acqua pubblica. “Certo che il rischio di non avere il quorum c’è“, ha ammesso il governatore campano del Pd Vincenzo De Luca. Dal suo canto, la Schlein non pensa alla vittoria politica, bensì tenere insieme il campo largo – composto dal il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, il segretario della Cgil, e il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte – di cui va tanto fiera.
Per la Schlein, ciò che sta accadendo con il referendum contro l’autonomia “è la dimostrazione che il Pd è ormai il perno centrale di un’alleanza vasta contro il centrodestra“. La speranza è poi di riuscire a convincere il leader di Azione, Carlo Calenda: “Insisteremo, Carlo non può star fuori“, dicono dal Nazareno. Nel contempo, si possono aprire contraddizioni profonde nel centrodestra: in Forza Italia e Fdi sono in molti a non apprezzare l’autonomia. L’obiettivo a cui aspira il centrosinistra è di far cassa col referendum, nonostante la probabile sconfitta.
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